Per legittimare lo sterminio dei palestinesi da parte dell’esercito israeliano si fa ricorso alle giustificazioni più ignobili e surreali. “Il numero delle vittime è gonfiato” (che è anche il primo argomento di chi nega l’Olocausto); “Gaza non è una prigione a cielo aperto perché da un lato c’è il mare”, replica Annalisa Chirico a Moni Ovadia (giusto, i palestinesi potrebbero fuggire a nuoto); !Israele bombarda perché ha diritto a difendersi! (“La miglior difesa è l’attacco”, diceva Benito Mussolini). C’è però un argomento particolarmente odioso: sì, le bombe israeliane avranno pure ucciso 10mila palestinesi in maggioranza donne e bambini, ma perché non si sono spostati, come gli aveva raccomandato di fare Israele, avvisandoli mediante lancio di volantini che avrebbe bombardato le loro case?”.

Tralasciamo il fatto che, come evidenzia l’Onu e documentano le immagini satellitari, nessun luogo è sicuro: l’artiglieria israeliana ha colpito ripetutamente anche il sud della Striscia, ossia la zona dove raccomandava ai palestinesi di rifugiarsi. Tralasciamo anche il fatto che il 70 per cento della popolazione che ha ubbidito all’ordine di evacuazione si ritrova oggi a vivere senza cibo, farmaci, acqua: stipata in campi dove lo spazio a disposizione per ogni essere umano è inferiore ai due metri quadrati. Tralasciamo anche la circostanza, documentata, che siano stati colpiti ripetutamente i convogli di civili in fuga. Tralasciamo infine il dettaglio che per decine di migliaia di persone – anziani, disabili, neonati, malati, feriti – la fuga non sia materialmente possibile, specie in assenza di carburante, ambulanze, mezzi di trasporto. Disinterressiamoci infine dei medici e dei giornalisti che, per senso del dovere, scelgono di non abbandonare il Nord della Striscia e con loro gli ostaggi, gli scudi umani: sono tutti sacrificabili.

Immaginiamo che si possa, attraverso un incantesimo, svuotare di ogni essere umano Gaza City e le altre città del Nord e farci rientrare i capi di Hamas che assistono allo sterminio del “loro” popolo dal Qatar (paese al quale, essendo alleato strategico degli Stati Uniti, viene risparmiato il destino toccato all’Afghanistan, bombardato a tappeto per stanare il terrorista Bin Laden che però era saudita, e stava in Pakistan. Fuochino fuocherello).

Resta il fatto che radere al suolo case, scuole, strade, panetterie, ospedali, università, parchi giochi, moschee, chiese, campi da calcio, mercati, condomini, interi quartieri palestinesi venga ritenuto accettabile. Il piano presentato come logico e perfino compassionevole sarebbe quello di spostare l’intera popolazione palestinese – tranne i terroristi – per qualche mese, spianare gli edifici e chiedere poi al popolo di fare ritorno, presumendo che centinaia di migliaia di famiglie sfollate provino riconoscenza e sollievo, al cospetto delle proprie case e cose ridotte in macerie, sapendo di non essere più sotto il giogo di Hamas.

I rappresentanti diplomatici di Israele, intervistati nei talk show, non contengono il loro disappunto di fronte alle rare immagini di corpi estratti dalle macerie di Gaza non censurate dalla tv italiana. “E perché non si sono allontanati?!”, ripetono con fastidio: “Li avevamo avvisati!” e autorevoli commentatori annuiscono.

Cari commentatori: dareste comunque il vostro assenso alla riduzione in macerie degli edifici civili se in quelle case, invece di milioni di famiglie arabe, vivessero milioni di famiglie italiane? Se quelle scuole fossero frequentate da bambini francesi, se quelle panetterie stessero a Madrid, se in quegli ospedali fossero ricoverati pazienti inglesi? O vi balzerebbe immediatamente all’occhio – anche ipotizzando l’assenza di vittime civili – il crimine di guerra? Se non è razzismo questo, cos’è?

La vita di un arabo, nella concezione diffusa tra i razzisti che giustificano Israele, è infatti la mera sopravvivenza fisica, sempre che l’arabo scappi per tempo e sopravviva alle malattie che inevitabilmente si propagano tra i profughi accalcati nelle tendopoli. Viceversa, la vita di una famiglia occidentale deve essere dotata per diritto di una casa con la corrente elettrica, l’acqua potabile, il riscaldamento; deve intendersi accessoriata di scuole, parcheggi, metropolitane, aerei, ristoranti, cinema, palestre, parrucchieri, discoteche, rave: nessuno riterrebbe accettabile che l’aeronautica Italiana bombardi a tappeto la Sicilia – dopo aver chiesto alle famiglie siciliane di trasferirsi in Calabria – per stanare i mafiosi e distruggere i loro arsenali. L’intera redazione de Il Foglio farebbe una catena umana per fare scudo con i propri corpi al Teatro Massimo. Le nostre case, le nostre chiese, i nostri monumenti non sono sacrificabili.

I più sinceri tra i falchi israeliani ammettono che l’obiettivo non è affatto la momentanea rimozione della popolazione per poi ricollocarla tra le macerie ma il trasferimento forzato dei palestinesi ovunque tranne che in Palestina. “Andassero in Irlanda”, tuonava alla radio il ministro israeliano della cultura Amichai Eliyahu, quello che ha ipotizzato il lancio dell’atomica su Gaza e che – coerentemente – non è stato rimosso da Netanyahu, avendo l’esercito israeliano già sganciato su Gaza una quantità di esplosivo equivalente, per potenza, a ben due bombe atomiche.

La rimozione forzata dei palestinesi dalle loro case, scuole, villaggi è del resto il disegno che Israele persegue da anni, in violazione del diritto internazionale, con i governi occidentali silenti perché i loro esponenti sono annebbiati dal razzismo di cui sopra. L’israeliano Yehuda Shaul, ex militare e fondatore con altri ex soldati della ong Breaking the Silence tiene il conto delle famiglie palestinesi rimosse a forza dalle loro case: “Nel corso dell’ultimo anno, prima del 7 ottobre, 110 chilometri quadrati di terre in Cisgiordania sono stati di fatto annessi dai coloni ai loro insediamenti. Dal 2011, il 10 per cento dei territori palestinesi dell’area C della Cisgiordania è stato strappato ai palestinesi con la forza dai coloni israeliani”. Da gennaio 2022 a settembre 2023, conferma l’Onu, ventotto comunità palestinesi sono state cacciate dalle loro terre con la forza.

Shaul e i suoi ex commilitoni sono israeliani quanto Netanyahu. Sono ebrei quanto le centinaia di migliaia di ebrei in tutto il mondo che chiedono di fermare le bombe su Gaza e difendono il diritto di tutti e due i popoli, israeliano e palestinese, a una vita dignitosa. Ricordiamocene quando vogliono farci credere che chi attacca Netanyahu attacchi Israele e dunque è antisemita e dunque è “dalla parte dei tagliagole di Hamas” (e pazienza se molti ebrei, tra i più ortodossi, sono contrari allo Stato di Israele poiché interpretano alla lettera il Talmud). Ricordiamoci che questo gioco delle parti, “Israele contro Hamas”, è truccato dai miliardari che scatenano le guerre ma le fanno combattere ai poveri cristi che mandano al massacro: come i capi di Hamas se stanno al sicuro in Qatar a contare i petroldollari dell’emirato, così il figlio di Netanyahu, pur essendo in età per combattere, non è in trincea ma in Florida.

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