“Ci sono proroghe, contro proroghe, intercettazioni contro intercettazioni, tu per ora hai il telefono sotto controllo”. Così Feliciano Leto avvertiva delle indagini in corso un pregiudicato, già condannato nel processo per corruzione alla Motorizzazione, una vicenda del 2013 che riguardava un sistema di mazzette per ottenere patenti. “Io infatti non ti ho mandato niente, perché c’hai pure il whatsapp sotto controllo, il whatsapp”, continuava il commesso giudiziario. E forniva anche particolari: “Che ci sono intercettazioni fino al 15 ottobre prorogati per altri…”, rivelando così che il via libera agli ascolti era stato prorogato. Nel frattempo, però, Leto era a sua volta sotto intercettazione.

Grazie all’uso del trojan, infatti, la Mobile di Palermo ha ricostruito i comportamenti di Leto, accusato di aver utilizzato il suo lavoro all’interno del Palazzo di Giustizia per rivelare indagini in corso. Il commesso è stato arrestato su richiesta della Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, con l’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia. Secondo i pm Leto era una vera e propria talpa in procura al servizio della criminalità. Il commesso giudiziario, 44 anni, portava i fascicoli delle indagini da un piano all’altro. Durante il tragitto, però, si fermava, consultava gli atti delle inchieste e scattava delle foto. In un’occasione, lo scorso 10 ottobre, ha perfino portato i documenti delle indagini fuori dal Palazzo di giustizia. Una sottrazione temporanea, di quasi due ore, che serviva per agevolare gli indagati, secondo quanto hanno ricostruito gli inquirenti.

In un caso ha fornito informazioni sulle indagini anche a Gino Abbate, detto “Gino U Mitra”, boss della Kalsa, noto quartiere del centro storico di Palermo. “Buongiorno compà, vedi che tuo zio Gino ha messo l’annuncio su Subito.it che si sta vendendo l’hard disk”, diceva al telefono a Pietro Abbate, nipote del boss. L’hard disk in questione era custodito in una busta di colore giallo chiusa da un elastico, ed era parte di un fascicolo di indagine. In questo caso, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il commesso ha aperto la busta, preso l’hard disk e la nota dei carabinieri allegata al fascicolo, e ha infine provveduto a scattare e a inviare le foto.

Per prassi i fascicoli che dalla procura dovevano essere trasmessi ad altri uffici venivano appoggiati sopra una sedia, legandoli con elastici alla pandetta dell’ufficio di destinazione. Qui, i commessi assegnati al piano, cioè Leto e un’altra persona, li prelevavano per trasportarli all’ufficio destinatario. E proprio in questo passaggio Leto, approfittava per fermarsi, leggere, fotografare e delle volte perfino sottrarre temporaneamente i documenti. In un’occasione, aveva scattato una foto a un’immagine contenuta in un faldone relativo alle indagini su una rapina di 120 mila euro a un portavalori: nell’istantanea si vedeva con chiarezza un tatuaggio sul braccio di uno dei rapinatori. Quella foto era stata poi inviata agli stessi autori del furto, che dopo avere ricevuto le informazioni di Leto avevano capito di essere intercettati e dunque avevano smesso di usare le utenze note agli investigatori.

Proprio da questa rapina gli investigatori sono riusciti a risalire ai comportamenti del commesso della Procura, dopo che in un’intercettazione i rapinatori avevano fatto riferimento a lui. Da qui sono scattate le indagini che hanno permesso di ricostruire i movimenti di Leto. Un uomo dalla doppia vita e dal doppio lavoro: al mattino in procura, di pomeriggio nell’azienda del suocero Vincenzo Passantino, titolare della società di trasporti Oreto Srl, colpita di recente da misura interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Palermo. Lì il commesso coordina i dipendenti dell’azienda del suocero. Al Palazzo di Giustizia, invece, era entrato in qualità di ex Pip, cioè un bacino di lavoratori precari inseriti in un piano per l’occupabilità di soggetti svantaggiati, varato fin dagli anni ’90. Una condizione che consentiva a Leto di sentirsi praticamente intoccabile: “Qua dentro non mi possono fare niente, non è che sono impiegato ministeriale… lo sai l’unica cosa che mi possono fare… di fare nulla osta in uscita e mi fanno a cortesia”. “Questo senso di impunità deriva al Leto dal fatto di essere un lavoratore appartenente all’area ex Pip, quindi formalmente impiegato presso l’assessorato regionale alle Politiche Sociali e solo temporaneamente distaccato presso questi uffici giudiziari”, scrive il gip Lirio Conti. Lo scorso 25 ottobre, il direttore dell’Archivio della procura aveva rimproverato Leto perché lasciava incustoditi alcuni fascicoli. Il commesso aveva replicato minacciandolo: “Dov’è sto porco… comunque la prossima volta moderati perché ti spacco la faccia… ah, la prossima volta moderati”.

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