Sedevamo cappuccino in mano intorno a un tavolo alle 11 di sera.

Ci sentivamo un po’ come loro. Come quei sei amici di New York che ci raccontavano che la nostra quotidianità non era così distante da quella al di là dell’oceano. Noi meridionali, cresciuti col culto dei legami di sangue, stavamo invece nutrendo rapporti “familiari” con dei perfetti “estranei”: gli amici. Che venivano prima di ogni cosa. C’era dunque la “Galleria” (una versione mignon di quella milanese) dove ci ritrovavamo ogni sera, anche dopo le pause-viaggio, dopo che Elio tornava dalla Spagna, Simona e Piermauro dalla Francia, io dall’Inghilterra. Sì, una cultura cosmopolita nutrita dal cuore di una città di provincia del profondo Sud, prima ancora che Ryanair sdoganasse il viaggio areo. Friends era un culto per noi perché Friends eravamo anche noi. Elio o Luigi, chi dei due somigliava più a Ross, nei modi e nelle manie?

Li confrontavamo per ore, perché nel centro di Messina, così distanti da Manhattan, ci sentivamo vicini agli “amici” d’oltreoceano. Con le storie sentimentali da raccontarci e che sfornavano – quando andava bene – dei fidanzati vissuti come dei corpi estranei da tollerare come vere suocere.

A dividerci solo l’Erasmus. Era il 25 ottobre 1998, Simona e Piermauro da La Brioche Dorèe di Parigi ci scrivevano lettere vere, di quelle che ci timbrano a fuoco come Boomer (sebbene siamo generazione Z) ma che ora posso tirar fuori da un cassetto: “Vi mandiamo un bacione grosso grosso e una sputacchiata nell’occhio destro: potreste anche sprecarvi a scriverci”. E post scriptum: “Dall’1 novembre avremo finalmente una casa, potete venire a trovarci”. La casa, dalle parti di Montparnasse, era infinitamente piccola ma riuscì a contenerci tutti.

Fu così che scolpimmo nel nostro immaginario comune le mattine in cui io e Simona provammo ad alzarci per arrivare a fare la colazione americana al MacDonald’s, che alle 11 smettevano di servire: ogni giorno studiavamo un nuovo percorso che ci potesse portare in tempo, ma nonostante tutte le mappature possibili non arrivammo mai. Erano anni in cui alcuni di noi scoprivano una sessualità nuova mentre provavamo a trasferire le nostre abitudini in quel di Parigi, frequentando tra i milioni di locali sparsi per la capitale francese, soltanto uno: Le Mabillon. Come a casa, come in quella città siciliana in cui ogni giorno c’era il Select, il bar vicino alla facoltà, ad accoglierci, e come quei ragazzi newyorkesi, appena più grandi di noi. Eravamo proprio come loro. E anche di più.

Non a caso, l’insegnante del corso di francese a Parigi spalancò gli occhi quando spiegai che vivevo in un monolocale dormendo nel soppalco con il ragazzo che però non era il mio fidanzato ma solo un amico, mentre l’altra ragazza dormiva sotto. Ma perché non dormi sotto con lei? La parigina non poteva comprendere che in quel momento l’amicizia con lei era ancora giovane mentre quella con lui era già nata a 13 anni tra i banchi di scuola: “È il mio compagno di banco, in Italia è un marchio a fuoco per la vita”, provavo a spiegare ma avrei dovuto dire che non importava fosse uomo o donna, eravamo una famiglia dal sangue misto e nient’altro.

Siamo andati avanti così, sentendoci più avanguardisti di tutti. Ma come in Friends, anno dopo anno, tutto è mutato.

Qualcuno vive lontano, il Select ha chiuso, in Galleria non ci andiamo più e lontane – lontanissime – sono quelle mattine quando l’unico pensiero affaticante era arrivare per tempo a fare la colazione desiderata.

Matthew Perry, Chandler, è morto, ci siamo detti domenica, telefonandoci, sapendo che con lui muore un parente. E muore un’era. La nostra era. Quella della prima generazione che sperimentava una forma di famiglia nuova, fatta da un gruppo coeso tenuto assieme solo dall’amicizia elevata a relazione suprema. Ma se Perry è morto, se il Select ha chiuso, non si può però dire finito quel nostro continuo sperimentare. Piermauro dopo tanti anni è tornato a vivere a Messina, in una villetta vicino al mare. E tra una pasquetta e un ferragosto, ancora guardiamo un orizzonte comune: “Quando saremo vecchi, io e Germana potremmo venire a vivere qui con te”. Mentre avanziamo inesorabilmente (e ironicamente, per quel che si può) verso il declino, proviamo a immaginare ancora un futuro comune, di mutuo soccorso, quando le colazioni americane saranno anche impossibili da digerire…

Ma l’importante adesso è guardare assieme quell’orizzonte. È quel che basta per sentirci ancora seduti comodi e spensierati sul divano del Select, del Mabillon. Del Central Perk.

Articolo Precedente

Mara Venier e Simona Ventura fanno pace in diretta tv: il motivo per cui avevano litigato e l’abbraccio a Domenica In

next
Articolo Successivo

“Cerchiamo nuova Professoressa laureata e che sappia tenere testa al conduttore”: Pino Insegno apre i casting per L’Eredità, è polemica

next