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78 anni fa il caso delle sorelle Cataldi, il feroce delitto che ha ispirato il racconto di Gadda “Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana”

La storia è quella delle sorelle Lidia e Franca Cataldi che il 20 ottobre del 1945 assassinarono Angela Barruca a il figlio Gianni di appena tre anni

di Alessandra De Vita

In molti hanno letto “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”, ma quanti sanno che il capolavoro di Carlo Emilio Gadda è stato ispirato da un tragico evento avvenuto nel Dopoguerra? Una storia che racconta di miseria e ricchezza, solidarietà e invidia, bontà e ingratitudine. La storia è quella delle sorelle Lidia e Franca Cataldi che il 20 ottobre del 1945 assassinarono Angela Barruca a il figlio Gianni di appena tre anni. Il crimine si consumò a Roma. Nel 1945, Angela Barruca è una donna attraente di 34 anni, originaria di Colleferro. Sposa il commerciante Pietro Belli e con lui va a vivere a Roma, in un appartamento elegante al civico 70 di Piazza Vittorio Emanuele. È moglie e madre amorevole di tre figli tra cui l’ultimo di appena tre anni. Sono gli anni della miseria del dopoguerra raccontata nei film di Rossellini e De Sica ma ciò nonostante la Barruca, grazie al lavoro del marito, riesce a condurre una vita agiata.

Angela Barruca è compaesana delle sorelle Lidia e Franca Cataldi, sfollate a Roma da Colleferro dopo i bombardamenti dopo la chiusura dell’attività di macellaio del padre. Le due sventurate sorelle non hanno casa, non hanno un lavoro e non hanno una lira in tasca. Alle due ragazze di 22 e 17 anni Angela presta spesso dei soldi in attesa che trovino lavoro ma anche cibo e abiti. Anche se è buona con le due donne, suscita in loro invidia per ciò che possiede e per la vita che ha. Va avanti così per mesi, finché le richieste non sono sempre più frequenti e pressanti, e la Barruca decide di non aiutarle più. La mattina del 20 ottobre 1945 le sorelle Cataldi vanno a bussare alla porta della donna di nuovo per chiederle un prestito ma dopo che la Barruca si rifiuta, scoppia un litigio furibondo. La donna è immobilizzata sul divano, mentre il piccolo Gianni viene chiuso nel bagno. Lidia inizia a colpirla con un coltello da cucina che ha portato con sé mentre Franca riempie una valigia con oggetti e biancheria.

Prima si accaniscono sulla donna, poi sul bambino. Vengono entrambi sgozzati. Prima di lasciare l’appartamento, le due assassine prendono una pelliccia di volpe della vittima, evidentemente destinata al mondo di ricettatori che ruota intorno alle sorelle Cataldi. Quel giorno, le due scappano e abbandonano l’arma del delitto su un muretto di piazza Vittorio. Grazie al portiere dello stabile che le vede fuggire, le sorelle Cataldi catturate un paio di ore dopo alla fermata della corriera per Cesano, in Piazza della Repubblica, e processate per il duplice omicidio. Subito confessano e vengono quindi portate a Regina Coeli. Vengono condannate rispettivamente all’ergastolo, e a 30 anni.

Ciò che sconvolge durante il processo è l’atteggiamento algido e privo di emozioni così come di pentimento delle due. L’arma utilizzata dalle sorelle è ora conservata presso il Museo Criminologico di Via del Gonfalone, a Roma. Una vicenda, quelle delle sorelle Cataldi, che ci restituisce lo squallore e la miseria di quegli anni e che riecheggia anche nelle pagine del racconto dello scrittore Carlo Emilio Gadda.

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