La nota del Mef, diffusa alle 10:30 di giovedì, è sibillina: “La previsione prudente del Pil è l’esatta conferma dell’approccio prudente, serio e responsabile ribadito in ogni sede dal ministro dell’economia e finanze Giancarlo Giorgetti“. Perché ribadirlo, a tre giorni dalla conferenza stampa durante la quale anche la premier Giorgia Meloni -dopo aver ribattezzato “extragettito” il deficit aggiuntivo– ha tenuto a ribadire la “serietà” della manovra? Giorgetti evidentemente non ha gradito la prima pagina del Sole 24 Ore, che ha confrontato le previsioni di crescita scritte dai Paesi dell’Eurozona nei Documenti programmatici di bilancio inviati a Bruxelles. Trovando conferma di un esito non sorprendente viste le ultime stime di Commissione, Ocse e Fmi.: l’anno prossimo l’Italia sarà di nuovo fanalino di coda.

I Dpb pubblicati sul sito dell’esecutivo europeo erano ieri 17 su 19. Nel frattempo anche l’Austria ha messo a disposizione il proprio, che non cambia molto il quadro se non per il fatto che Vienna, come Helsinki, si piazzerebbe a pari merito con Roma con un pil in crescita dell’1,2%. Che è appunto la previsione del governo italiano, ritenuta prudenziale dal Tesoro anche se istituzioni internazionali e centri di ricerca italiani immaginano livelli ben più bassi. Ref Ricerche per esempio ha aggiornato martedì le proprie stime portando a +0,5% la stima per il 2024.

Tornando al confronto con gli altri Stati dell’area euro, l’anno prossimo tutti prevedono al momento – incertezze legate alla guerra permettendo – di veder migliorare il tono delle proprie economie. Fanno eccezione solo Spagna e Portogallo, che comunque contano di registrare rispettivamente un +2 e +1,5%. Francia e Germania vedono il pil a +1,4 e +1,6%, la Grecia scommette su un +3, l’Irlanda su un +4,5%.

Quanto al deficit/pil, invece, l’Italia non è la sola ad aver deciso di rimanere sopra il 3%: anche Francia, Belgio, Finlandia, Malta, Slovacchia e Slovenia supereranno la soglia prevista dal vecchio Patto di stabilità ora in fase di revisione.

Il problema però è il debito: quello italiano è al 140,2% del pil, secondo solo a quello della Grecia (159,3%), e l’anno prossimo il governo prevede un calo minuscolo, al 140,1%, appeso ovviamente alla capacità di raggiungere davvero un obiettivo di crescita che appare sfidante. È al debito che guardano le agenzie di rating, che nelle prossime settimane emetteranno i loro giudizi sull’Italia e potrebbero modificare l’outlook da stabile a negativo o addirittura – nel caso di Moody’s – optare per un downgrade. Venerdì il primo appuntamento: tocca a S&P.

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