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Emanuela Orlandi, spunta una nuova pista: “Un ex militante dei Nar ha passato dei documenti sulla ragazza al fratello Pietro”

A rivelarlo è il giornalista di inchiesta Alessandro Ambrosini sul suo blog “Notte Criminale”: quest’uomo, secondo questa nuova pista, potrebbe essere “Massimo Carminati"

di Alessandra De Vita

Un nuovo scenario sulla misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi: è quello tratteggiato dal giornalista di inchiesta Alessandro Ambrosini sul suo blog “Notte Criminale”. Lo stesso su cui lo scorso dicembre ha pubblicato l’audio in cui Marcello Neroni, un personaggio legato alla Banda della Magliana, gli aveva rivelato (non sapendo di essere registrato) scioccanti retroscena sul caso di scomparsa più impenetrabile d’Italia per cui da 40 anni la famiglia Orlandi e non solo invoca la verità. Per cercarla e afferrarla Ambrosini si è calato di nuovo in quel mondo, un sottobosco oscuro in cui si intrecciano il Vaticano, da sempre ritenuto dalla famiglia coinvolto nella vicenda, la criminalità e l’eversione di destra rappresentata dai Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.

“Quello che leggerete di seguito è quella che in inglese viene definita una “suggestion”. Un suggerimento dato da fatti che si concatenano dal 1990 ad oggi, dalla morte di Enrico De Pedis alla lettera “non vera ma verosimile” dell’arcivescovo di Canterbury a Londra”: esordisce così Ambrosini nella sua inchiesta “The Blackmail”, una ricostruzione da non sottovalutare anche secondo il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi. La lettera in questione è quella diffusa lo scorso aprile da Pietro durante la trasmissione Di Martedì, spedita dall’arcivescovo di Canterbury George Carey al cardinale Ugo Poletti, con una richiesta d’incontro per parlare di Emanuela Orlandi. “La forma della lettera rivela che è un falso, il contenuto invece è credibile”, spiega Ambrosini. Ma com’è entrato Pietro Orlandi in possesso di questa lettera? Il direttore di Notte Criminale rivela che a fornirgliela sarebbe stato “Antonio il postino”, nome in codice con cui un uomo ha contattato Pietro a novembre da una mail non rintracciabile. Antonio dice di essere stato un militante dei Nar e che è rimasto a Londra per anni a lavorare nel campo dei trasporti. Londra è anche la città dove alcuni membri dei Nar hanno trovato “asilo politico” negli anni ’80, per sfuggire agli esiti sulle vicende giudiziarie in corso in quegli anni sul movimento di estrema destra. Ed è anche la città in cui, secondo i famosi “cinque fogli” recapitati al giornalista Emiliano Fittipaldi nel 2017, Emanuela Orlandi sarebbe stata portata e trattenuta dopo la sua scomparsa.

Ma non è solo una città a tenere insieme questi eventi in apparenza sconnessi. Ambrosini, che conosce bene quei sotterranei da cui emergono trame impercettibili a chi non sa leggere i segnali che emana, traccia una nuova pista che collega gli elementi citati secondo una logica ben precisa. “Il postino” – spiega Ambrosini – era di un gruppo specifico dei Nar, quello capeggiato da Massimo Carminati. Antonio “il postino”, già dal nome che si è voluto dare, certifica che il suo è un ruolo marginale, di contatto. Non è il mittente. Pietro Orlandi ha cercato intanto di incontrare il “postino” per avere da lui altre notizie ma l’uomo è diventato sfuggente alle sue richieste. Gli ha riferito di un altro uomo che, “come lui è a conoscenza dei fatti ma che non vuole aiutare nessuno in questa storia”. Quest’uomo, secondo questa nuova pista tracciata su Notte Criminale, potrebbe essere “Massimo Carminati, non come protagonista del rapimento di Emanuela – aggiunge Ambrosini – ma solo come possibile detentore di documenti che possono fare luce su ciò che rimane uno dei più intricati e incomprensibili misteri italiani”.

L’ex Nar dunque potrebbe aver acquisito dei documenti su Emanuela Orlandi nel furto al Caveau interno al Tribunale di Roma del 1999 (per cui è stato condannato a quattro anni) messo a punto per indebolire e ricattare chi stava indagando sui misteri irrisolti del nostro Paese tra cui l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli per cui “il nero” era al tempo sotto processo insieme ad Andreotti. A suggerire questa ipotesi è il fatto che tra le cassette di sicurezza trafugate, c’era anche quella del magistrato Domenico Sica che per primo ha indagato sulla scomparsa di Emanuela.

Inoltre, sarebbe stato sempre lui, Carminati, a prendere il testimone di Enrico “Renatino” de Pedis, più volte tirato in ballo nel corso degli ultimi decenni (soprattutto a partire dalla scoperta della sua sepoltura nella Chiesa di Sant’Apollinare da cui scomparve Emanuela) in merito alla vicenda tragica della 15enne scomparsa, in virtù di relazioni strette e poco chiare con i vertici del potere ecclesiastico. La lettera firmata dall’arcivescovo Carey, e recapitata a Pietro da Antonio il postino, potrebbe essere – secondo quanto scritto su “Notte Criminale” – un nuovo atto di un ricatto che segue quello dei sopracitati cinque fogli che contengono una nota spese che il Vaticano avrebbe sostenuto per segregare Emanuela Orlandi a Londra, presso la sede degli scalabriniani oltre a spese mediche presso la Clinica St. Mary, per le cure svolte dalla ginecologa dott.ssa Leasly Regan.

Fino al “disbrigo delle pratiche finali” che lascia pensare a una sepoltura che, secondo il documento, sarebbe avvenuta in Vaticano. “Usando un minimo di buon senso – conclude Ambrosini – si capisce che dietro tutto ciò si nasconde un ricatto. Quei documenti furono diffusi nel 2017, lo stesso anno in cui cadde l’accusa di associazione mafiosa per Massimo Carminati, pochi giorni dopo che alcune testate pubblicarono un report su un “tesoro” del bendato che si troverebbe proprio a Londra. Non ha responsabilità su ciò che avvenne a Emanuela, ma potrebbe avere l’arma di ricatto che potrebbe inchiodare il Vaticano alle sue eventuali responsabilità. Come disse alla nostra collaboratrice Beatrice Nencha, che gli chiese di incontrare Pietro Orlandi durante il processo di Mafia Capitale: “Noi non le abbiamo mai toccate le ragazzine. Pietro deve guardare in Vaticano”.

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