I critici conservatori considerano, in maniera spesso irridente, i progressisti come persone ingenue ed idealiste che non sanno fare beni i loro conti in tasca. Vorrei smentire questa opinione considerando le due recenti riforme dell’Irpef, quella di Draghi e quella del vice-ministro Leo. Dal punto di vista della convenienza economica, lasciando perdere tutti gli altri aspetti, ho dei forti dubbi e quasi una certezza: ad un esame attento questa convenienza non c’è e neppure ci può essere.

Per amore di concretezza vorrei partire da un caso concreto che ben conosco, la mia situazione personale. Queste due riforme mi porteranno qualche centinaio di euro in più all’anno, ma sono realmente convenienti oppure sono contrarie ai miei interessi economici? Per far questo mi servirò di un concetto molto importante in economia, ma spesso dimenticato, quello di costo opportunità. Ogni scelta effettuata ha un costo implicito perché si rinuncia a qualcos’altro. Questa scelta alternativa costituisce il costo opportunità che va considerato.

Le due riforme in questione ridurranno l’Irpef pagata dagli italiani di circa 10 miliardi, una somma imponente che andrà a vantaggio principalmente dei ceti medi e medio-alti, sei miliardi già incassati con Draghi e quattro da ricevere con Giorgetti. Dai dati a mia disposizione ho stimato che con Draghi pagherò 450 euro in meno all’anno e con il vice ministro Leo 260. Quindi, in definitiva, le due riforme mi lasceranno nello stipendio annuale del 2024 la somma di 710 euro, una cifra non indifferente. Questo è il lato del vantaggio diretto.

Veniano ora al costo opportunità, cioè ai costi impliciti di questa mini riforma fiscale. Ce ne sono due. Il primo, minore, è che questi soldi sono un debito futuro perché finanziati con l’indebitamento pubblico. Ma su questo aspetto possiamo passar oltre perché oggi non mi tocca. Invece il costo opportunità diretto mi riguarda sotto molti spetti. Ne considero due: come docente universitario e cittadino. Come docente universitario, perché? In questi anni mi è capitato di avere anche qualche centinaio di studenti nei corsi, con tutte le conseguenze del caso sul piano didattico e organizzativo. Se si criticano le classi pollaio alle superiori, si dovrebbero criticare ancora di più le classi formicaio all’università. Altrove in Europa, almeno stando alle cronache degli studenti Erasmus, queste situazioni non si verificano. Questo sovraffollamento deriva, come è logico aspettarsi, dai tagli alle spese universitarie degli ultimi 20 anni. Solo negli ultimi dieci la popolazione dei docenti universitari è stata tagliata per esigenze di bilancio del 10%, a fronte di un aumento degli studenti. Le università hanno fatto il possibile, ma senza risorse aggiuntive c’è poco da fare. Ecco allora un primo costo opportunità che mi riguarda direttamente. Rinuncerei volentieri, in tutto o in parte, alla mia riduzione dell’Irpef per avere classi di studenti meno numerose e per poter far meglio il mio lavoro. Un vantaggio per loro, e anche per il sottoscritto.

Come cittadino poi, il costo opportunità nascosto nello sconto Irpef è molto maggiore e tocca molti aspetti della vita di ognuno di noi. Consideriamo, per esempio, la spesa per la salute. In questi anni, dall’altra parte del telefono mi sono sentito molto spesso rispondere che non era possibile prenotare la visita medica specialistica perché i posti disponibili erano esauriti. Quasi sempre sono stato messo gentilmente in lista d’attesa. Potendo aspettare, ho risolto positivamente. Se questo accade nella sanità pubblica veneta, che passa da modello nazionale, immagino quello che può succedere altrove. Naturalmente la lista d’attesa si poteva comodamente saltare con una prenotazione in un centro dal costo molto più salato. Ecco apparire di nuovo un costo opportunità a volte inevitabile: se vuoi saltare la fila per gli esami sanitari paghi e non poco.

Questi sono due casi, e credo che altri se ne possano aggiungere. Il taglio dell’Irpef ha portato a questo, ad un sottofinanziamento sistematico che poi è degenerato in servizi a volte di bassa qualità o in lunghe liste di attesa. Ecco allora che i 10 miliardi di Irpef risparmiati dai contribuenti si trasformano in un costo opportunità nemmeno tanto nascosto. Con 10 miliardi si possono assumere 50.000 medici, far uscire dal precariato 200.000 insegnanti, assumere 10.000 magistrati per velocizzare la giustizia, e così via, facendo risparmiare un sacco di sodi ai cittadini e, in definitiva, alla comunità. I progressisti hanno ben in mente il fatto che lo stato sociale, prima di essere un valore etico, è un meccanismo assicurativo che decisamente conviene alle loro tasche.

L’Irpef non è altro che una polizza assicurativa che, come tutte le polizze, annulla il rischio e consente di far fronte ai casi della vita. E questo aspetto era ben noto già a fine Ottocento quando si poneva il problema di costruire lo stato sociale. Quindi, in definitiva, da economista sarei ben disposto a rinunciare allo sconto dell’Irpef, che sembra il sogno dei conservatori, per avere dei servizi pubblici finanziati decentemente. Semplicemente questo sconto così tanto sbandierato non mi conviene, come non conviene ai milioni di contribuenti normali che hanno redditi medi o medio-bassi. Che passi nella pubblica opinione il messaggio contrario è uno dei guasti del populismo economico conservatore che ormai ci ha contagiato con le sue interessate chimere.

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