Il ministero dell’Economia ha reso pubblici i dettagli relativi alle scelte effettuate dai contribuenti nel destinare l’8 per mille. Pubblicati sul sito del Dipartimento delle Finanze, i dati riguardano l’erogazione del 2023, che in realtà si riferisce alle preferenze espresse nella dichiarazione dei redditi del 2019, ma sono presenti anche i numeri provvisori sulle scelte effettuate nel 2020 e nel 2021. La tendenza è chiara: sempre meno italiani scelgono di destinare l’8 per mille alla Chiesa cattolica, con una flessione di 205mila firme per quanto riguarda l’anno di imposta 2021. Il trend non è estemporaneo e già lo scorso maggio, presentando il prospetto sulla ripartizione dell’8 per mille, la Cei aveva evidenziato che “il gettito aveva avuto un calo di 100 milioni di euro”, ma la causa, secondo Monsignor Giuseppe Baturi, era da rintracciarsi nella recessione economica dovuta al Covid-19. “I dati di quest’anno sono riferiti al 2020, l’anno dell’esplosione della pandemia e del blocco delle attività industriali, con ovvie ricadute sul gettito totale dell’Irpef. Se il gettito totale diminuisce, diminuisce anche l’otto per mille, e quindi la quota dell’otto per mille destinata alla Chiesa cattolica”, aveva voluto precisare.

Al contrario, sono state 84mila in più le persone che hanno scelto di destinare il fondo allo Stato: quasi la metà delle firme (49%) sono state indirizzate al settore dell’edilizia scolastica, seguita da calamità naturali (22%), fame nel mondo (13%) e beni culturali (12%). Fanalino di coda l’assistenza ai rifugiati, con soltanto il 4% delle preferenze.

Roberto Grendene, segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar), ricorda come le casse della Chiesa stiano vivendo “un altro brutto colpo”, avendo “già perso 1,7 milioni di preferenze nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti italiani nel triennio 2019-2021” e questo nonostante l’esistenza – ha messo in luce Grendene – di “quel perverso meccanismo per cui le quote non espresse – quelle che non vengono destinate, perché il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi – sono comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute”. Con il risultato che “con meno del 28% dei contribuenti che nel 2022 ha scelto espressamente la Chiesa cattolica, i vescovi incasseranno comunque oltre il 69% di quel miliardo e 400 milioni che, più o meno stabilmente nell’ultimo quinquennio, corrisponde all’8 per mille dell’Irpef versata all’erario ogni anno”. Se poi si guarda ai dati relativi ai fondi versati dallo Stato nelle casse della Cei, per la Chiesa emergono ulteriori nubi all’orizzonte: “Se nel 2022 l’esborso dalla casse dello Stato verso quelle della Cei era stato di 1 miliardo e 111 milioni, i dati definitivi appena pubblicati dal Dipartimento delle Finanze per il riparto 2023 fanno crollare la cifra a 1 miliardo e 2 milioni”, evidenzia ancora Grendene, che conclude: “la verità è che – pur se protetta da un meccanismo iniquo e da un governo silente al punto di non chiedere ai contribuenti di scegliere ‘Stato’ per ottenere i fondi per le popolazioni colpite dall’alluvione – sempre meno contribuenti (meno del 28%) ritengono giusto finanziare la Chiesa cattolica con i fondi della fiscalità generale. Un segnale incoraggiante di cui non possiamo che rallegrarci”.

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