A memoria di blogger, dopo l’esempio irripetibile dell’alluvione fiorentina del 1966, mai più sono stati totalmente rimborsati ai privati i danni alluvionali. Molto spesso neppure parzialmente. Le recenti promesse e le conseguenti liti istituzionali su questo tema sono noiose e inconcludenti come le grida dei gabbiani che seguono il peschereccio perché pensano che le sardine saranno gettate nel mare.

Il rischio è in rapido aumento, non tanto per la supposta crescita della pericolosità idraulica, quanto per la crescita enorme e incontrollata della esposizione e per l’ignavia nei confronti della vulnerabilità. Pensare a una copertura pubblica dei danni privati è una pura illusione.

In Emilia Romagna i danni sono stati enormi, confrontabili con quelli dall’alluvione tedesca di due anni fa. Per la Germania, le inondazioni estive del 2021 sono state la più grave catastrofe naturale della storia per il settore assicurativo, che ha pagato 6,7 miliardi degli 8,4 miliardi di euro di danni totali per l’assicurazione della proprietà. Ma la quota rimanente del danno, tre volte maggiore, è rimasta a carico dei privati, per le loro proprietà, e dello Stato, per le infrastrutture.

Un recente rapporto di Verisk, uno dei principali analisti del rischio assicurativo, svela che solo una piccola percentuale di danni ai beni assicurati causati dalle alluvioni di maggio in Italia risulta coperto. La maggior parte dei rischi contemplati dal mercato assicurativo italiano non contempla le inondazioni, come rivela lo stesso rapporto. Anni fa, alcune proposte di copertura assicurativa del danno idrogeologico, auspicate da una parte della scienza e della protezione civile, vennero liquidate al grido: niente nuove tasse. Probabilmente lo sarebbero state, vista l’impostazione assai rigida e cieca delle proposte.

L’assicurazione del rischio alluvionale avrebbe due importanti ruoli. Prima di tutto fornirebbe i finanziamenti necessari per la ripresa post-evento, che richiede talora un gravoso sforzo economico. In vari casi, le aziende colpite da alluvioni non sono state in grado di riaprire e, talvolta, l’impatto sull’imprenditore è stato addirittura tragico, fino a provocarne il suicidio. Inoltre, le compagnie di assicurazione hanno un rapporto diretto con i proprietari e possono chiedere di attivare misure di auto-protezione nel momento in cui contrattano il premio assicurativo.

L’assicurazione è lo strumento tipico per condividere un rischio e alleviarne l’impatto. Per capire quale sistema assicurativo possa calzare bene dentro allo Stivale, vale la pena guardare alla varietà di soluzioni dei Paesi che già hanno adottato politiche di mitigazione assicurativa. In estrema sintesi, ci sono tre tipi di sistema: obbligatorio, semi-obbligatorio e facoltativo, con parecchie sfaccettature. Un recente libro bianco di Cineas offre un quadro delle possibili strade da seguire sulla base dell’esperienza di altri paesi (Av.Vv., L’assicurazione delle calamità naturali e delle pandemie, White Paper, Milano: CINEAS, 2023).

Per esempio, in paesi ad elevata pericolosità sismica come la Turchia e la Romania, l’assicurazione è obbligatoria, ma solo per i terremoti. L’Islanda è l’unico paese occidentale che obbliga ad assicurarsi contro le alluvioni. In questo piccolo paese, dotato un sistema di protezione sociale molto avanzato, l’assicurazione contro le calamità naturali è obbligatoria e la totalità del patrimonio immobiliare privato è assicurata.

Il sistema semi-obbligatorio è quello che prevede la garanzia catastrofi come accessoria alla polizza incendio. La sottoscrizione è una libera scelta del proprietario ma, se la sottoscrive, egli deve accettare la estensione alla garanzia catastrofi naturali. Questa soluzione è molto popolare in Danimarca, dove tutti si assicurano; e in Francia e Nuova Zelanda, dove aderisce il 95 percento delle proprietà private. In Belgio e Norvegia l’assicurazione copre il 90 percento delle proprietà e in Spagna il 75 percento.

Quanto si paga nel sistema semi-obbligatorio? In Francia, la legge impone un premio flat in percentuale del premio incendio. È un sistema assai collaudato che si è innestato su un mercato in cui la copertura base dell’incendio era già fortemente sviluppata. E la vulgata narra che il danneggiato debba essere risarcito entro tre mesi dalla richiesta. La quota flat è purtroppo passata negli anni dal 6 al 12 percento e continua a crescere. Ciò spiega in soldoni come le catastrofi idrogeologiche e le tempeste di vento pongano a rischio crescente il territorio francese, il cui sviluppo urbano e rurale risulta evidentemente poco resiliente.

Anche in Spagna il premio è flat, ma lo Stato agisce anche da riassicuratore di ultima istanza. La mano pubblica interviene qualora non ce la faccia il consorzio di compensazione che gestisce il sistema, il quale opera come una impresa privata, con l’obbligo di costituire riserve tecniche e rispettare criteri di solvibilità.

Il sistema è invece facoltativo in molti altri paesi, dal Regno Unito alla Germania, al Giappone e agli Stati Uniti. Il sistema inglese non prevede alcun intervento regolatore da parte dello Stato e le coperture sono in genere richieste per l’accensione dei mutui ipotecari. Lo Stato non prevede alcun risarcimento in caso di disastro e un consorzio specifico (Flood Re, in partenariato tra Governo e imprese di assicurazione) riduce il costo dei premi nelle aree a elevato rischio alluvionale per consentire di ampliare la platea degli assicurati.

Negli Stati Uniti, il National Flood Insurance Program raggiunge solo il 18 percento della proprietà. Si tratta però di un sistema molto mirato, la strada maestra individuata molti anni fa dalla Federal Emergency Agency per mitigare il rischio alluvionale, assieme alla riduzione della vulnerabilità. Per accedere alla copertura assicurativa con premi abbordabili, i privati sono invogliati a dotare le proprietà a rischio di misure permanenti o temporanee di flood proofing. Il premio dipende quindi fortemente dalla esposizione e dalla vulnerabilità del bene assicurato, non solo dalla pericolosità.

Non si può certo prendere un sistema ed esportarlo ciecamente altrove, soprattutto se l’altrove è l’Italia. Bisogna valutare le caratteristiche peculiari del rischio assieme a quelle della struttura sociale ed economica se non ci accontenta di fare un po’ di ammuina e, magari, un po’ di lucro mordi e fuggi. Nel paese che Giustino Fortunato battezzò “sfasciume pendulo sul mare” oltre cent’anni fa, c’è molto da fare anche in questo ramo.

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