Dalla Marelli di Crevalcore a Stellantis, passando per l’ex Ilva di Taranto (ora Acciaierie d’Italia) e Wärtsilä di Trieste, fino ai lavoratori ex Whirlpool di Napoli, Softlab e a tante altre vertenze industriali ancora irrisolte in tutto il Paese. Nel corso dell’Assemblea nazionale della Fiom – Cgil a Roma, tanti lavoratori, metalmeccanici e delegati hanno rivendicato “dignità, lavoro, diritti e sicurezza“, di fronte a situazioni occupazionali “sempre più insostenibili”, turni massacranti, aumento della cassa integrazione, rischio licenziamenti, salari bloccati o sempre più bassi, erosi dall’inflazione.
Collegati in diretta con l’iniziativa organizzata nella piazza capitolina, in quanto impegnati in presidio permanente e in sciopero per tutta la giornata insieme agli altri siti del gruppo, c’erano anche i lavoratori dallo stabilimento Marelli di Crevalcore (Bologna), a seguito della comunicazione dell’azienda sulla volontà di cessare la produzione nello stabilimento. Una procedura, hanno comunicato gli stessi sindacati nel corso della giornata, poi sospesa “fino al 3 ottobre, data in cui è convocato un tavolo istituzionale con il ministero per le Imprese e il Made in Italy congiuntamente con il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali”. Un “primo passo“, secondo i sindacati, che “permetterà di iniziare il confronto” con l’azienda controllata dal fondo Kkr “senza un contatore già attivo”. Anche se nessuno sembra volersi illudere: “Marelli aveva già da tempo disinvestito, lo stabilimento era già stato tenuto in vita grazie ai lavoratori”, spiega Simone Selmi, segretario bolognese della Fiom, in merito al futuro dell’azienda di 229 dipendenti, impiegati nella produzione di collettori di aspirazione aria e di pressofusi di alluminio per motori endotermici.
“Bisogna capire Marelli pure cosa vuol fare come investimento strategico sulle future tecnologie, a partire anche dall’altro stabilimento bolognese, l’ex Weber”, continua. Perché il timore è che il disimpegno finisca per colpire anche l’altra azienda felsinea, dove sono impiegate altre 600 persone. Per Crevalcore i sindacati insistono affinché si maturi una “soluzione che dia continuità produttiva e occupazionale” alla fabbrica, per la quale Marelli aveva già stabilito la chiusura nel 2024 con lo spostamento di una parte della produzione nel sito di Bari.
Ma in piazza sono tanti i lavoratori a rischio taglio, in cassa integrazione da mesi o anni, con destini e paure comuni. “Sono anni che viviamo con gli ammortizzatori sociali, subendo questa situazione che pesa sui nostri salari. Nel 2021 eravamo riusciti ad ottenere un accordo che sanciva una garanzia occupazionale, ma oggi Stellantis disattende quegli accordi“, spiega Antonio Lamorte, delegato Fiom e operaio all’ex Fca Fiat di Melfi.
“Un anno fa abbiamo ricevuto 451 lettere di licenziamento, abbiamo bloccato i cancelli, poi il giudice ha accolto il nostro ricorso, dichiarando illegittimi i licenziamenti e riconoscendo la condotta antisindacale di Wartsila. Solo questo ci ha permesso di restare ancora in piedi, altrimenti eravamo già per strada. Ma ora aspettiamo una risposta dal governo e dalle istituzioni sulla nostra vertenza”, spiega invece Andrea Della Pietra (Rsu Fiom), in merito al futuro dello stabilimento triestino che produce motori marini e terrestri.
E c’è anche chi, grazie alla lotta, ora aspetta di tornare a lavorare, come i lavoratori ex Whirlpool di Napoli, dopo aver protetto per più di quattro anni il proprio stabilimento, acquisito nell’aprile scorso dalla società TeaTek, con un impegno che prevede entro il prossimo 31 ottobre la riassunzione di tutti i 312 lavoratori. Altri invece, come i lavoratori ex Ilva di Taranto, restano nella disillusione: “Siamo qui per rivendicare dignità per una fabbrica lasciata allo sbando da troppi anni, in condizioni pietose, tutto è fermo”. Un quadro confermato anche dai vertici Fiomn: “La situazione per l’ex gruppo Ilva è ormai al capolinea, mancano anche le manutenzioni necessarie. Governo e Arcelor Mittal stanno mettendo a rischio i lavoratori. Abbiamo chiesto alla premier Meloni di convocare Fim Fiom e Uil perché ormai la questione non può più essere affrontata su un solo tavolo ministeriale. Aspetteremo fino alla fine di settembre per dare modo al premier di organizzare il tavolo, ma in caso di mancata risposta siamo pronti ad autoconvocarci sotto Palazzo Chigi“, rilancia per la Fiom il segretario Michele De Palma.
Così risposte dall’esecutivo metalmeccanici e sindacati le aspettano anche sul tema sicurezza sul lavoro: “Non è possibile che se ne parli soltanto quando ci sono fatti di cronaca, non si può continuare a morire mentre si lavora“, si rivendica dalla piazza. “Vogliamo atti concreti. Le condizioni e i ritmi della catena di montaggio sono diventati insostenibili“. Eppure, spiegano, “il governo sta facendo poco o nulla. Anzi, il taglio delle ore di formazione è pericoloso. E i controlli sulle aziende e nei cantieri restano pochi o inesistenti”.
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