Nel giorno del tavolo tra governo, sindacati e vertici di Stellantis, fuori dal Ministero delle Imprese del Made in Italy la Fiom ha organizzato un’assemblea pubblica con circa trecento lavoratrici e lavoratori dei diversi stabilimenti italiani, per chiedere garanzie sul futuro occupazionale.
“Vogliamo un piano straordinario che ci permetta di tornare a produrre in Italia”, ha rivendicato il segretario generale della Fiom Cgil, Michele De Palma, precisando come “in questo momento nel nostro Paese produciamo meno di 500mila veicoli, ma possiamo produrne 2 milioni. Non si capisce perché l’azienda fa grandi risultati dal punto di vista della finanza, mentre i lavoratori sono in cassa integrazione e, a oggi, non hanno avuto nemmeno gli aumenti salariali”.
Proprio il continuo ricorso alla cassa integrazione, il rischio esuberi soprattutto tra le aziende dell’indotto e i salari bloccati fanno temere lavoratori e delegati Fiom arrivati da tutta Italia. “C’è molta preoccupazione e forte disagio per quello che negli ultimi due anni sta avvenendo negli stabilimenti. In Stellantis i lavoratori sono scesi ulteriormente a 46 mila, attraverso le uscite incentivate, e quelli che rimangono, sempre più avanti con l’età, vedono peggiorare giorno dopo giorno le proprie condizioni. A Mirafiori, Termoli, Cassino, Pomigliano, Pratola Serra e Melfi si fa ampio utilizzo di ammortizzatori sociali con perdita di salario e in alcuni casi una distribuzione non equa delle giornate lavorative”, si spiega dalla Fiom. E i lavoratori nel corso del presidio confermano i timori: “Ci ritroviamo con circa 1300 persone in cassa, nonostante la produzione della nuova Panda continui a tirare sul mercato, questo è inaccettabile”, si spiega tra i delegati di Pomigliano. A Termoli, dove l’ads Carlos Tavares aveva annunciato un anno e mezzo fa il lancio della gigafactory, i dubbi sul futuro non mancano: “Sono rimasti soltanto gli annunci, tra l’altro ridurre il tutto alla produzione di batterie non è un investimento, quello è soltanto un segmento”, spiega un lavoratore intervenuto in presidio.
“La maggior parte degli stabilimenti non hanno ancora missioni produttive e nuovi modelli e in quelli dove sono stati annunciati investimenti (Termoli, Mirafiori, Melfi) è ancora tutto fermo”, denuncia la stessa Fiom. E anche nelle aziende dell’indotto il mancato arrivo di nuove commesse, così come “la politica di taglio dei costi imposta da Stellantis rischia di ricadere sul salario dei lavoratori e sulla tenuta occupazionale”. Così a rischiare sono aziende come la Lear di Torino e alcuni stabilimenti della Marelli. “In generale, nel 2022 per i lavoratori di tutto il settore automotive sono state 65 milioni le ore di cassa integrazione”, ricostruisce il sindacato.
Nel corso del tavolo con il governo, però, non sono arrivate novità concrete. “Stellantis ci ha detto che non ha le condizioni per indicarci, riguardo un prodotto che fa, quante auto produrrà in futuro. Questo determina incongruenza rispetto alla situazione occupazionale e agli investimenti che le aziende della componentistica devono fare”, ha concluso De Palma. Non è l’unico critico. Rispetto alla deadline del 2035, dopo il via libera definitivo del Parlamento Ue allo stop alle auto a diesel e benzina, “ancora non siamo in grado di riuscire a sapere da Stellantis e dal governo come si affronta il processo di transizione“, ha rivendicato pure il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, secondo cui “manca un piano di elettrificazione e mancano le precondizioni affinché il tema dell’elettrico possa espandersi. Non basta soltanto la politica degli incentivi”. E ancora: “Stellantis ha fatto la fotografia di come si sviluppano i nuovi modelli, ma non c’è stata nessuna dichiarazione da parte loro su come si salvaguardano i livelli occupazionali sia dell’indotto che dei lavoratori cosiddetti sociali”.
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