Se oggi in via Argine 310, sede dell’ex Whirlpool di Napoli, c’è ancora speranza, rivendicano i lavoratori licenziati e da quattro anni ormai in presidio permanente, è perché la fabbrica non è mai stata abbandonata. “Per noi quei cancelli sono sempre stati aperti, perché la produzione si sarà pure fermata, ma noi insieme abbiamo prodotto forza, determinazione, sapere. E oggi vediamo uno spiraglio di luce“, spiega Carmen Nappo, una degli oltre trecento lavoratori che con la decisione unilaterale della multinazionale di chiudere lo stabilimento campano, annunciata il 31 maggio 2019, hanno perso il lavoro.
Nel corso della presentazione del libro “Via Argine 310. Whirlpool Napoli, storia di una lotta” di Loriana Lucciarini, a Roma, a Casetta Rossa, nel cuore del quartiere Garbatella, sono state ripercorse “le tappe della loro ‘resistenza”. Lavoratori che, dopo anni di promesse non mantenute, ora sperano in una reindustrializzazione reale, dopo il trasferimento della piena proprietà dello stabilimento al commissario straordinario di governo per la Zona economica speciale della Campania, e l’apertura del bando per la ricerca di nuovi investitori per l’area produttiva.
Ma se oggi uno spiraglio per i lavoratori c’è, seppur ancora senza alcuna certezza e con in prospettiva l’ultimo anno di tempo prima di perdere anche la fruizione della Naspi (l’indennità mensile di disoccupazione che ammonta a 800 euro e già dai prossimi mesi diminuirà gradualmente, ndr), è perché il coro più volte scandito ‘Napoli non molla‘ si è tradotto in una lotta che è diventato poi ‘modello per altre vertenze, da Gkn a Wartsila‘, come ha ricordato anche Barbara Tibaldi, segretaria nazionale Fiom-Cgil. Certo, ora dovrà partire il confronto con il governo Meloni, il quarto esecutivo con cui gli ex operai Whirlpool di Napoli dovranno interloquire per tornare a lavoro. A produrre cosa e per conto di chi, però, non si sa ancora.
“Per 39 volte siamo arrivati qui, sotto i palazzi della politica, e al Ministero dello Sviluppo economico, per protestare e chiedere risposte. Partivamo carichi di speranza, ma ricordo la delusione dei viaggi di ritorno. Perché nessuno dei governi che si sono succeduti è riuscito a esigere dall’azienda il rispetto degli accordi o a trovare una soluzione. Ma noi non molliamo”, racconta Carmen. Non è l’unica. C’è chi ricorda deluso le parole di Luigi Di Maio e le sue “minacce (da vicepremier e titolare al Mise, ndr) all’azienda sul taglio degli incentivi statali“, se non si fosse trovato un accordo o compromesso. “Sapevamo già allora che era un fuoco di paglia, l’azienda si impuntò. Così come ricordiamo i nostri tentativi di portare avanti una vera legge contro le delocalizzazioni, insieme agli operai Gkn. Ma il governo Draghi, con il ministro Giancarlo Giorgetti ha portato avanti soltanto una norma inutile, rispetto a quanto chiedevamo”, racconta un altro lavoratore, dopo mesi di braccio di ferro tra il leghista da una parte e il ministro del Lavoro, il dem Andrea Orlando, e la sua vice al Mise del M5s, Alessandra Todde, dall’altra.
Tutto mentre ormai da due anni erano state “317 le famiglie che l’azienda ha mandato per strada, da un giorno all’altro”, raccontano i lavoratori ex Whirlpool di Napoli. “Per noi quella ‘x rossa’ sul nostro destino, è stata una mazzata. Eravamo tutti 50enni circa, troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per trovare nuove occupazioni, in una terra dove c’è poco o nulla, tra il cappio della criminalità organizzata e il lavoro nero”, racconta un’altra lavoratrice.
Dopo mesi di immobilismo, con la politica assente, i lavoratori però ci credono ancora: “Ma una soluzione va trovata entro la fine degli ammortizzatori sociali“, avvertono. Così continuano a incontrarsi in fabbrica “per far capire a chi passa fuori da quei cancelli che non molliamo e per tenere accesa quella fiammella”. Intanto è la Fiom Cgil ad attaccare: “Ora ci è tutto più chiaro sul perché quello stabilimento di Napoli è stato chiuso, dopo la decisione di Whirlpool di cedere le attività europee alla costituenda società, di cui Whirlpool deterrà il 25% e i turchi di Arçelik il 75%”, spiega ancora Tibaldi. Di fronte ai rischi per tutti i 4mila dipendenti italiani del gruppo, avverte: “Deve intervenire l’esecutivo per la garanzia occupazionale e industriale, non ci sfuggono i rischi di un processo di integrazione, che per sua stessa natura rischia di produrre sovrapposizioni e sinergie”. E ancora, continua la Fiom Cgil, in una nota: “Ribadiamo che un dialogo proficuo sarà condizionato al mantenimento di tutte le realtà italiane con la piena tutela occupazionale”.
Già la stessa Tibaldi aveva ricordato negli scorsi mesi come, seppur da maggio fosse in piedi la revisione strategica del colosso degli elettrodomestici, con la possibilità di una riduzione o chiusura del perimetro industriale in area Emea, il governo Draghi fosse rimasto a guardare: “Un governo intelligente avrebbe chiamato il Ceo americano chiedendo informazioni”. Cos’era invece accaduto? I sindacati avevano inviato tre lettere al Mise chiedendo un incontro per capire come si stesse muovendo il ministero: tutte rimaste senza risposta.
Allo stesso modo anche sul destino degli ex lavoratori di Napoli il sindacato rivendica: “I lavoratori sapevano che dovevano restare in quella fabbrica, proteggere lo stabilimento. Che ora potrà essere preso, in base al bando, soltanto alle nostre condizioni, se riprenderà al lavoro tutti, con un piano industriale credibile. Tante reindustrializzazioni sono fallite, finite in mano a banditi. Ma qui ci sono gli operai a difendere il sito. E c’è un solo modo per evitare che si ripetano altri fallimenti, non uscire dai cancelli. Noi pretenderemo che lo Stato faccia da garante per un profilo serio”. “Si devono aprire quei cancelli”, rivendicano ancora i lavoratori, che non intendono tornare sotto al Mise, per la 40esima volta, per protestare. Ma magari, c’è chi spera, per brindare finalmente al nuovo lavoro.
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