di Giulia Capitani, Migration Policy Advisor di Oxfam Italia

Nonostante il clamore mediatico, in questi giorni nella piccola Lampedusa non è successo nulla di realmente nuovo. La conferenza stampa di domenica della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, malgrado i toni trionfalistici, si è infatti limitata a riproporre gli insensati e costosissimi punti cardine delle politiche migratorie di destra, ormai arcinoti: il controllo delle frontiere delegato a Paesi terzi, la chiusura dei confini, la lotta ai trafficanti e il famigerato quanto fantasmagorico blocco delle partenze con qualunque mezzo.

In realtà Meloni rispondeva – molto nervosa – a un’agenda di politica interna: difendersi dagli attacchi sempre più espliciti di chi tra i suoi alleati di governo vuole posizionarsi più a destra di lei, vale a dire la Lega di Salvini, in vista delle prossime elezioni europee.

Quale sia l’agenda della von der Leyen è più difficile da comprendere, anche perché il “piano in dieci punti” che ha presentato, come risposta europea alla crisi dichiarata dall’Italia, contiene misure in larghissima parte già previste e comunque abbozzate in modo generico e confuso. Inoltre vale la pena sottolineare quanto sta emergendo nelle ultime settimane, e cioè la sostanziale mancanza di legittimazione della Presidente della Commissione nel negoziare, insieme a Meloni e al premier olandese Rutte, il Memorandum con il presidente tunisino Saied, dello scorso luglio.

Un parere legale del Consiglio dell’Unione Europea indica che l’accordo è stato siglato “senza l’autorizzazione preventiva del Consiglio”, cioè senza consultare gli stati membri, che infatti nei mesi scorsi hanno formalmente protestato. Questo grave scenario ci spinge a nutrire perplessità anche su quanto presentato dall’ormai dimissionaria von der Leyen a Lampedusa: non certamente un documento formale della Commissione Europea… cosa dunque?

Respingimenti collettivi e selezione di chi può entrare: le azioni annunciate sono vietate dal diritto internazionale

Al netto di questo, Meloni e von der Leyen in questi giorni hanno annunciato con determinazione che sono pronte a commettere azioni vietate dal diritto internazionale. Meloni che si rivolge a chi intende partire suggerendogli di non farlo, perché sarà trattenuto e rimpatriato, dichiara platealmente che il governo intende mettere in atto sistematici respingimenti collettivi di richiedenti asilo.

Von der Leyen, con la sua frase ad effetto “saremo noi e non i trafficanti a decidere chi viene” sembra non comprendere che non possono deciderlo né loro, né i trafficanti “chi viene”, perché il diritto di partire dal proprio Paese per cercare protezione è un diritto umano inviolabile che non può essere negato a nessuno.

Ma il tema è proprio questo: la sparizione dei richiedenti asilo e del diritto alla protezione nel discorso pubblico. Negli ultimi giorni, tra interviste, dichiarazioni, commenti, le persone in arrivo sono state definite in un solo modo: irregolari, clandestini. Persone da cui difendersi addirittura con il nuovamente invocato blocco navale, che è impossibile da realizzare e anche solo da pensare. Meloni utilizza il caso Lampedusa di questi giorni per rafforzare il suo progetto di ridefinizione dei flussi di rifugiati verso l’Europa, bisognosi di protezione, come immigrazione illegale di massa. E a una ridefinizione semantica e simbolica non può che seguire – sono d’altronde gli atti di questi mesi, dal decreto Piantedosi al decreto Cutro – una ridefinizione politica e giuridica.

In ogni caso nessuno, in questi giorni, ha trovato il modo di ribattere che in questi movimenti di persone, piaccia o no, non c’è nulla di irregolare: che il Testo Unico sull’Immigrazione e la Direttiva Procedure consentono alle persone in arrivo di chiedere asilo, e ne impediscono il respingimento. E che irregolare è la scelta dei nostri Stati di non aprire effettivi canali legali di ingresso per queste persone, di non consentire loro di arrivare con visti umanitari o di non modificare il meccanismo degli arrivi per lavoro, di non avere mai applicato prima della crisi ucraina la Direttiva sulla Protezione Temporanea, e di lasciare che generazioni di ragazzi e famiglie vivano l’inferno e trovino al morte nei loro viaggi verso l’Europa.

L’assurda risposta del governo: aumentano, di nuovo, i tempi di trattenimento nei CPR

Il Consiglio dei Ministri di ieri ha comunque fornito la risposta del governo a questa situazione: un aumento dei tempi di permanenza dei migranti nei “Centri di permanenza per i rimpatri” (CPR) fino a 18 mesi. Punto. Come tale misura possa incidere sulle partenze, sugli sbarchi, sulla crisi del sistema di accoglienza, sui trafficanti, non è dato sapere. Perché non inciderà. Viene invece dato nuovo slancio al nefasto piano di individuazione e costruzione di nuovi CPR, per i quali sono già stati stanziati 52 milioni di euro e altri ne arriveranno, dando mandato addirittura al Ministero della Difesa. D’altronde di soldi dei contribuenti buttati, per questo come per le politiche di contenimento e blocco dei flussi delegato ai Paesi non europei, come Libia e Tunisia, sembra esserci sempre grande disponibilità.

Chi pensava che con una leader donna fosse garantita una leadership femminista può definitivamente ricredersi, di fronte alla prima donna presidente del Consiglio italiano e la prima donna presidente della Commissione Europea che pronunciano insieme parole muscolari già usate mille volte con l’arroganza di chi ha avuto la fortuna di nascere nell’emisfero fortunato del globo. Parole che non vogliono lasciare scampo a chi fugge, ma che forse fanno più paura a noi.

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