“Il decreto sicurezza bis era aberrante, un provvedimento inaccettabile”. A riferirlo è l’ex senatore pentastellato Gregorio De Falco, di recente tornato ad indossare la divisa della guardia costiera, nell’aula bunker del carcere Pagliarelli durante l’udienza del processo in cui è imputato il vicepremier e ministro dei trasporti Matteo Salvini. L’ex inquilino del Viminale è accusato dalla procura di Palermo di aver sequestrato 147 migranti a bordo della nave dell’ong ProActiva Open Arms. I fatti risalgono all’agosto del 2019 quando i migranti rimasero diversi giorni in attesa di ricevere il place of safety (pos), il porto sicuro per lo sbarco, dopo che il 14 agosto il Tar del Lazio aveva sospeso il decreto salviniano permettendo all’ong di entrare in acque italiane. Un tira e molla tra la ong e il governo italiano interrotto solo il 20 agosto, quando la procura di Agrigento ha sequestrato la nave disponendo lo sbarco di tutti i naufraghi.

Decreto sicurezza bis – “I decreti di Salvini sono un vero e proprio travisamento delle convenzioni internazionali, perché il secondo decreto citava in modo forviante la convenzione di Montego Bay, in cui è stabilito che uno Stato può vietare la navigazione in acque territoriali, solo se si presenti ostile o pericolosa. La stessa convenzione però cita i casi di non ostilità, come i soccorsi in mare. Quindi i soccorsi non possono essere mai intesi come casi di interdizione”, aggiunge in aula De Falco, chiamato a deporre in qualità di testimone delle parti civili. L’ufficiale della capitaneria di porto, oggi in servizio a Napoli, spiega che le condizioni a bordo di Open Arms erano critiche e che al termine di un salvataggio sarebbe stato opportuno portare i naufraghi in Europa, in quanto la Libia non offre porti sicuri: “La guardia costiera libica è composta in gran parte da delinquenti provenienti dalle galere libiche”.

Il quadro politico e la crisi – L’ex senatore si sofferma anche sulla situazione politica nella rovente estate del 2019, quando la “crisi del Papeete” provocò la frattura dell’alleanza giallo-verde e la conseguente caduta del primo governo Conte. “Nell’agosto del 2019, il governo era composto da Lega e M5s. Dopo l’intervento del Tar Lazio, che aveva sospeso l’interdizione alla navigazione della nave Open Arms, scrissi un messaggio all’ex ministra della difesa, Elisabetta Trenta. Le chiesi di non firmare un ulteriore decreto di interdizione, perché avrebbe costituito un aggiramento del provvedimento giudiziario – spiega De Falco -. Mi confidò le difficoltà politiche di questa presa di posizione che avrebbe aumentato il consenso di Salvini, contribuendo ad esaltarne la figure e a raccoglierne ulteriori consensi e avrebbe messo in difficoltà il M5s. Ciò nonostante, mi assicurò che non lo avrebbe firmato e neppure l’allora ministro Danilo Toninelli”. In effetti l’atto di interdizione chiesto da Salvini non venne firmato dai ministri Trenta e Toninelli, che già nelle precedenti udienze hanno spiegato le loro motivazioni, provocando l’insanabile frattura. “La situazione al governo era molto critica, Salvini minacciò di ritirate la delegazione dei ministri leghisti”, aggiunge De Falco.

Il pos non assegnato – “All’epoca il pensiero di Salvini era trattenere i migranti, in un limbo, fino a che dagli Stati europei non arrivava la disponibilità di ricevere i naufraghi – spiega De Falco -. Gregoretti è un caso emblematico, una nave militare è giuridicamente territorio dello Stato italiano, i migranti a bordo sono nelle mani dello Stato, anche in quel caso, forse ancora più gravemente fu impedito lo sbarco. Open Arms è una nave mercantile, nel momento in cui è in acque italiane, è chiaro che lo stato costiero deve dare il proprio obbligo di accogliere”. Alla domanda se la ong sarebbe potuta spostarsi verso la Spagna, considerato che batteva bandiera iberica e il governo di Pedro Sanchez aveva offerto il porto di Algeciras (Andalusia), De Falco risponde. “La nave non era adatta per restare a mare per molto tempo, aveva raggiunto il porto più vicino (Lampedusa, ndr), non doveva andare in Spagna. Se fosse stata panamense l’avremmo inviata a Panama?”.

Tra rinvii e Richard Gere – La prossima udienza sarà il 6 ottobre, dove sono attesi l’attore hollywoodiano Richard Gere e Mauro Palma, garante dei diritti della libertà personali, in qualità di testimoni di Open Arms. Un’udienza che cade tre giorni dopo il decennale anniversario del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, considerato una delle catastrofe marittime più gravi nel Mediterraneo, in cui persero la vita 368 persone. A fine udienza, l’avvocata e ministra Giulia Bongiorno, difensore di Salvini, ha spiegato al giudice che per “impegni politici” il suo assistito potrebbe non presentarsi alle prossime udienze. “Non sono impedimenti”, ha invece ribadito il sostituto procuratore Gery Ferrara, facendo riferimento alle diverse richieste di rinvio già presentate dalla difesa. Piccolo siparietto finale. Prima dell’udienza, fuori dall’aula bunker, i parlamentari leghisti Marianna Caronia e Vincenzo Figuccia e l’ex deputato Francesco Scoma hanno accolto il leader del Carroccio con lo striscione: “Unico a fermare i clandestini, giù le mani da Salvini”.

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