In fondo la tassa sugli extraprofitti le banche se la sono un po’ cercata. La pioggia di utili del 2022 e 2023, dipende sì dagli aumenti dei tassi attuati dalla Banca centrale europea ma anche dal fatto che mentre questi rialzi si sono immediatamente tradotti in un aumento delle rate che i debitori pagano alle banche, non hanno avuto nessun effetto sugli interessi che le banche pagano a chi presta loro i soldi, ovvero i depositanti e i correntisti. Una disparità rimarcata in diversi studi e sottolineata in più occasioni dalla stessa Bce che ha invitato gli istituti di credito a stringere questa forbice. Spagna e Italia, non a caso, sono i due paesi in cui la disparità tra interessi passivi e attivi rimane più marcata, a danno dei cittadini e a vantaggio dei banchieri, e sono anche i due paesi in cui un prelievo sugli utili bancari è già in vigore o potrebbe esserlo a breve. Secondo una stima di Standard and Poor’s le banche spagnole e italiane hanno trasferito i benefici dei rialzi dei tassi ai loro depositanti in una misura di appena il 10%, contro il 20% delle tedesche e il 35% delle francesi. La norma italiana peraltro sta perdendo pezzi giorno dopo giorno e finirà per diventare un prelievo poco più che simbolico. Buono più per la propaganda che per i conti o per gli aiuti ai mutuatari in difficoltà.

Di questa palese realtà ha preso atto anche l’autorità Antitrust italiana. Ascoltato in Senato sulla tassa sugli extraprofitti il presidente Roberto Rustichelli ha affermato che “proprio la centralità del tema per la tutela del risparmiatore/consumatore in uno scenario di persistenti tensioni inflazionistiche, rende opportuno valutare l’ipotesi di un intervento normativo”. Di che tipo? Come ricordato qualche tempo fa anche su questo sito le banche potrebbero facilmente evitare il prelievo riequilibrando, almeno in una qualche misura, i benefici dell’aumento del costo del denaro a vantaggio dei risparmiatori. Secondo Rustichelli l’intervento normativo dovrebbe quindi prescrivere “agli istituti di credito la remunerazione dei depositi nella misura ad esempio del 40% del tasso di interesse riconosciuto dalla Bce alle banche sulla liquidità depositata e preveda, altresì, che detta percentuale costituisca soltanto un floor minimo, con la conseguenza che, al di sopra di detta soglia, gli istituti di credito dovrebbero continuare a farsi concorrenza al rialzo”.

L’Antitrust spiega che “ne deriverebbe un tasso di interesse pari all’1,5% (quindi, superiore dell’1,1% rispetto al tasso medio attuale) che, applicato sui 1.368 miliardi di depositi a vista, determinerebbe 15 miliardi di nuovi interessi da corrispondere: un importante ristoro dei risparmi dei consumatori e una significativa iniezione di liquidità nel sistema, che assicurerebbe anche un rilevante gettito erariale (pari a circa 4 miliardi), essendo la somma soggetta al prelievo fiscale alla fonte del 26%. Una simile misura, necessariamente temporanea – ha concluso Rustichelli, avrebbe anche il pregio di eliminare, alla radice, ogni potenziale profilo di disallineamento della norma in discussione rispetto al criterio della capacità contributiva dei diversi istituti di credito, superando con ciò ogni eventuale rischio di incostituzionalità”.

Parole indigeste per l’Associazione bancaria italiana il cui rappresentante Giovanni Sabatini è stato ascoltato poco dopo sempre al Senato. Naturalmente è andata in scena una lunga litania di lamentazioni. “La comunicazione della decisione, senza alcun confronto preventivo anche con l’Abi, di introdurre l’imposta straordinaria una tantum” sulle banche “ha provocato sui mercati un impatto solo parzialmente poi attenuato. L’introduzione di tale imposta straordinaria ha prodotto un vulnus alla fiducia riposta sul mercato finanziario italiano”, ha esordito Sabatini rilanciando una tesi molto cara a giornali ed opinionisti vicini al mondo bancario. In realtà i mercati hanno sostanzialmente ignorato la misura come era facilmente intuibile visto il precedente spagnolo. “L’imposta straordinaria” sulle banche “solleva dubbi di compatibilità con i precetti costituzionali”, ha affermato poi Sabatini contraddicendo la lettura dell’Antitrust. L’Abi arriva persino a respingere il concetto di “extraprofitti” degli utili nel settore bancario. Si può certo giocare con le parole ma sta di fatto le banche italiane hanno chiuso il 2022 con bilanci da record e si apprestano ad incassare ancora più profitti nel 2023 senza alcun merito particolare. I costi non sono scesi, le altre voci del bilancio non sono migliorate, l’elemento che ha gonfiato i guadagni è unicamente la politica della Banca centrale europea.

Nel frattempo chi ha un mutuo o un prestito a tasso variabile (o deve accenderne uno) boccheggia. Una rata del mutuo variabile da 456 euro iniziali potrebbe arrivare a toccare i 759 euro, in crescita del 66% rispetto all’inizio del 2022, avvisa il sito Facile.it che indica un aggravio di ben 303 euro se la Bce giovedì dovesse decidere per un ulteriore incremento di 25 punti base dei tassi. Per l’analisi è stato preso come riferimento un finanziamento a tasso variabile da 126mila euro con piano di restituzione in 25 anni sottoscritto a gennaio 2022. A sottolineare quanto questa situazione possa far male è anche il Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Paolo Gentiloni. In un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt, Gentiloni dice: “Non vedo una bolla speculativa, ma temo un’emergenza sociale tra i milioni di europei che hanno contratto mutui a tasso variabile” rispondendo alla domanda se sia “imminente un crollo” del mercato immobiliare che preoccupa molti cittadini europei.

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Gli strani dubbi dalla Bce sulla tassa sugli extraprofitti: “Mette a rischio i rafforzamenti patrimoniali”

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