di Massimo Arcangeli

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In compagnia delle noci, rimpiazzabili con mandorle e ghiande, castagne o nocciole (o i loro succedanei per i meno abbienti, come gli ossi di pesca o d’albicocca), i bambini greci e romani trascorrevano il tempo – provocandosi, rimbeccandosi, accapigliandosi (al pari degli adulti quando giocavano d’azzardo). Sul bassorilievo di un sarcofago in marmo del II sec. d. C., conservato al Museo Chiaramonti (Città del Vaticano), sono scolpite le figure di tredici fanciulli che giocano con le noci.

Degli otto maschi: uno tenta di difendersi da un altro, che l’ha afferrato per i capelli; un terzo, piegato su un ginocchio, sta puntando uno dei monticelli di noci ai piedi dei suoi compagni, con una noce nella mano destra (con la sinistra si tiene la tunica, perché non lo ostacoli nei movimenti); un quarto pare voglia impedire a un quinto – bloccandone i passi con la mano opposta al suo torace – di intervenire sul tiratore; un sesto solleva il braccio destro, con la mano stretta a pugno, in segno di esultanza o incitamento.

Le cinque femmine costituiscono un gruppo compatto: “[u]na siede sopra un picciolo sgabello, o scamillo, quasi suppedaneo, e ha nelle mani una noce. Due sono all’indietro una delle quali sembra aver delle noci nel seno della veste, che con ambe le mani tiene ripiegata. Altra è accovacciata e con la destra mano raccoglie le noci, o come sembra più probabile, compone con quelle un picciolo castello; ed altra all’indietro stende la destra verso la fanciulla seduta” (Giuseppe Melchiorri, Sopra d’un antico ed inedito bassorilievo vaticano rappresentante una scena fanciullesca de’ Saturnali. Dissertazione del marchese G. M. socio ordinario. Letta nell’adunanza de’ 17 luglio 1823, “Atti dell’Accademia Romana d’Archeologia. Dissertazioni”, tomo secondo, 1825, pp. 147-70, a p. 151; sullo stesso bassorilievo: Ludwig H. Friedländer, Fanciulli giuocanti, “Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”, XXIX, 1857, pp. 142-46).

Uno dei passatempi preferiti di tante ragazze e ragazzine dell’antica Roma e dell’antica Grecia era lanciare cinque pietruzze in aria dal palmo della mano e provare a riprenderle col dorso della medesima al momento della discesa. I sassolini sfuggiti – più spesso gli astragali, in latino tali – dovevano esser raccolti da terra con le dita della mano ricevente, senza far cadere, durante l’azione di recupero, le pietruzze arrestate in corsa.

I fanciulli greci e latini giocavano lontano dalla scuola e al riparo dai loro spesso severi maestri, pronti a riprenderli o a sculacciarli alla prima occasione:

Alea parva nuces et non damnosa videtur; saepe tamen pueris abstulit illa natis” (Marziale, Epigrammaton, XIV [= Apophoreta], 19 (18)). (“Quello delle noci pareva un piccolo gioco, e per nulla pericoloso; spesso spellava però le natiche ai bambini”).

Iam tristis nucibus puer relictis clamoso revocatur a magistro” (Marziale, Epigrammaton, V, 84, vv. 1-2). (“Il fanciullo, triste per aver dovuto lasciare le noci, vien già richiamato all’ordine dal maestro gridante”).

L’espressione nuces relinquere, ho scritto mesi fa in un intervento su questo blog, esprimeva in latino l’uscita dall’età della fanciullezza o dell’adolescenza. Marziale chiarisce al v. 6 il motivo per il quale il ragazzino di cui parla ha dovuto “lasciare le noci”, ed è lo stesso motivo che strappa gli avvinazzati giocatori di dadi (“udus aleator“, v. 5) dalle loro bettole equivoche (“arcana […] popina“, v. 4): si sono conclusi i festeggiamenti dei Saturnali (“Saturnalia transiere tota“), il Carnevale della Roma antica.

Le dissacranti feste popolari in onore del dio Saturno, celebrate nella settimana fra il 17 e il 23 dicembre (nel punto d’arrivo, in origine duravano un sol giorno) e comprensive dei sigillaria (giorni di libero scambio di sigilla: pupazzi, statuette, immaginette in rilievo di figure umane o animali in cera, legno, gesso, pasta di pane, terracotta…), si svolgevano all’insegna di sacrifici e processioni, allestimenti fieristici e spettacoli di mimi e danzatori, travestimenti e cambiamenti d’abito (gli schiavi calzavano il berretto frigio, o pileus, ricevuto dai loro padroni al raggiungimento della condizione di liberti, gli schiavi liberati; i cittadini, dismessa la toga, indossavano l’informale synthesis, o vestis cenatoria, una comoda vestaglia da casa), mangiate e bevute a volontà, scambio di biglietti d’auguri e di regali di ogni tipo (candele, ninnoli, giocattoli, datteri, miele ecc.). Chiuse scuole e tribunali, e sospese guerre e cerimonie luttuose, ci si sollazzava in licenziose copule fra lo smantellamento dell’ordine e delle convenzioni sociali, il rovesciamento dei ruoli (coi padroni che servivano a tavola i loro schiavi, o mangiavano con loro) e la licenza di praticare il gioco d’azzardo (altrimenti proibito).

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