Ho letto di alcune affermazioni della destra, tutte volte a censurare e a rinviare la questione ad altro che non sia la struttura sociale e culturale. Tra le tante, di chi pensa che il mostro sia altrove e non nelle famiglie, tra i ragazzi, tra gli adulti, tra chiunque veicoli cultura misogina e sessista, c’è l’invito a censurare sequenze video in cui adulti consenzienti fanno sesso.

Vorrei raccontarle che negli anni Settanta e Ottanta, quando non c’era internet e i piccoli non potevano di certo andare al cinema in cui proiettavano pellicole per minori di 18 anni, i padri incoraggiavano i bambini a palpeggiare le ragazze per strada, una fetta di sedere o una toccata al seno e i genitori si beavano della virilità del bambino. Frugoletti di otto anni ci correvano dietro per fare a gara a chi toccava di più, perché i corpi delle donne erano visti, e lo sono ancora, solo come palestra di esercizio virile per maschi che sarebbero beatamente cresciuti in senso eterosessuale, senza dare pensiero a genitori che dichiaravano dei figli meno volenterosi “meglio morto che gay”.

Le ricordo che c’erano donne, veicolo sessista implicitamente assoggettato alle richieste maschiliste, che inviavano i figli maschi a dare prova di eterosessualità con le vicine, le compagne di scuola, perché a tavola si parlava del fatto che ci si preoccupava della figlia femmina, della quale bisognava conservare l’onore, compito spettante a padri e fratelli, e non del maschio che semmai poteva essere “incastrato” da una fanciulla che egli aveva erroneamente ingravidata.

In quegli anni, come in questi, si sprecavano concetti come “lei è una facile, put*ana, tr*ia” per quella che non si vergognava della propria vita sessuale consenziente, quando l’indice di virtù era ancora la verginità della puella (dal latino: pulla, in palermitano, sta per ragazza di facili costumi).

Negli anni più recenti abbiamo letto commenti di eccelsi editorialisti contro le ragazze in shorts, commenti contro quelle che dovrebbero fare a meno di studiare, perché essere ignoranti è alla base della conservazione del privilegio e del potere maschile. Abbiamo letto sui social, sul web, pagine misogine in cui si nega lo stupro, il femminicidio, la violenza di genere. In cui si attribuisce ad ogni denuncia di stupro una “falsa accusa” e ad ogni femminicidio la ragione del povero carnefice abbandonato dalla vittima. Sono moniti recenti, diffusi e supportati da partiti di centro destra e conservatori, servono a scoraggiare le denunce per stupro e a far intendere alle donne che, qualora rimanessero al proprio posto con un marito violento, non perderebbero la vita.

In questi anni abbiamo visto gli stessi partiti, inclusi quelli cattolici, non esprimersi così severamente al punto da evitare di inserire norme legislative contro il femminicidio e la violenza di genere a tutto tondo. Non esistono ancora norme contro il revenge porn (vendetta attraverso esposizione non consensuale di corpo delle donne, diverso dai filmati in cui adulti consenzienti fanno sesso) o contro le molestie sul lavoro, per strada, e lo stupro in casa, da parte del marito, per quanto punibile, non è quasi mai denunciato. Che dire degli stupri che non suscitano indignazione, quelli per cui la denuncia diventa solo un elemento che serve a infierire sulla vittima? Che dire delle tante che non denunciano perché ancora oggi vengono spinte nella vergogna, a loro viene detto che se la sono cercata, è tutta colpa loro?

Pensa davvero Roccella che un film porno possa insegnare a giovani uomini che lo stupro è plausibile e legittimato socialmente? Io no. Credo che il porno infastidisca soltanto moralisti che vorrebbero le donne sante e mai a godere di orgasmi consensuali. Perché il punto vero è che la misoginia, l’uso del corpo delle donne, viene appreso in famiglia, non viene poi corretto né a scuola né nella società, la cultura non cambia.

Se Roccella avesse guardato un porno avrebbe visto consensualità tra adulti. Se avesse visto una scena di stupro di gruppo avrebbe certamente stabilito che la vittima incosciente non può dare il proprio consenso. Le due cose sono talmente dissimili e per nulla speculari. I ragazzi non stuprano per mimare un porno, ma stuprano e poi filmano una azione penalmente rilevante che dimostra quanto siano virili. Come quando correvano a toccare culi per strada guadagnando il plauso dei genitori.

Questi ragazzi non sanno cos’è il consenso, non considerano la donna come individuo che può dire di no, perché, diversamente, quando hanno ascoltato “no, basta”, avrebbero smesso. Se non percepiscono lo stupro come violenza, e bisogna ricordarglielo in sede penale, significa non che sono malati, ma figli sani del patriarcato. Sono stati educati così: dalla società, dagli amici, dai mondi che hanno attraversato. Gli stessi mondi che limitano le azioni delle ragazze, alle quali viene detto che non bisogna andare in giro da sole la sera, che bisogna accompagnarsi con un uomo per dare segno di appartenenza ad eventuali predatori, che non devono vestire in modo succinto e non dovrebbero divertirsi nel ballo, bere una birra. Gli stessi ambienti che ci impongono di tenere le chiavi chiuse in pugno per difenderci da molestatori, che ci fanno avere paura delle ombre se rientriamo tardi dal lavoro, che ci fanno allontanare da chiunque in metropolitana perché una manomorta è lì ad attenderci, che ci fanno preparare a difenderci dal nostro fidanzato, marito, ex, perché il mondo ci vuole sottomesse e felici.

Il punto è che non siamo più sottomesse e che abbiamo diritto alla felicità. Dunque invece di censurare una donna che vive un orgasmo consensuale in un porno, servirebbe educare al rispetto dei generi e del consenso sessuale nelle scuole. Ma ciò per Roccella non va bene. Non è forse lei, assieme ad altri, ad aver paventato il pericolo gender mentre si parlava di prevenzione alla violenza di genere nelle scuole? Non è forse lei o il suo partito ad essersi opposto al concetto di violenza di genere nella legge contro femminicidio e stupro?

A ciascuno la propria responsabilità. La sua è quella di negare che la questione sessista è strutturale, sociale, culturale.

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