Liberarsi dal “giogo del colonialismo“, imporsi come potenze economiche dotate di un peso tale da costituire l’alternativa all’ordine globale voluto e capitanato dagli Stati Uniti, per la costruzione di un mondo multipolare dove il dollaro venga sostituito da una moneta comune per non dipendere dalla valuta di un Paese terzo. In questi giorni, a Johannesburg, l’orientamento del vertice dei Brics – acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – è quello di lanciare una sfida, ben più definita e aggressiva rispetto alle precedenti 14 versioni del summit, per contrastare l’Occidente e porre le basi per un nuovo ordine mondiale, con Russia e, soprattutto, Cina alla testa dei Paesi in via di sviluppo, concordi che il predominio di Stati Uniti ed Europa (e Nato) abbia finora arrecato più danni che benefici.

La leva del multipolarismo – Per Mosca la guerra in Ucraina è il pretesto contingente per spingere su questa direzione, e la Cina, a fronte dell’escalation di tensioni con gli Stati Uniti sulla questione Taiwan e dell’urgenza di trovare nuovi partner e mercati vista la crisi immobiliare e il rallentamento della crescita, ha anche sollecitato “un rapido ampliamento” del gruppo a nuovi Paesi, oltre agli sforzi per promuovere “una governance globale più giusta e ragionevole”. Sono 23 quelli che hanno manifestato interesse a entrare (tra loro ci sono paesi come Egitto, Etiopia, Sudan, Nigeria, Tunisia, Zimbabwe, Senegal e Algeria): in realtà, se tutti, a parole, sono d’accordo sull’allargamento del gruppo non è ancora chiaro sulla base di quali criteri verrebbero ammessi. Come non è chiaro se un annuncio sui nuovi membri verrà preso in occasione di questo summit o rinviata ad altre riunioni. Se Pechino è fortemente favorevole all’allargamento dei Brics – che valgono un quarto della ricchezza del mondo e contano il 42% della sua popolazione – in quanto operazione destinata ad aumentare la sua leadership globale, non sono però dello stesso avviso India e Brasile, che non vogliono trasformare l’insieme delle economie aderenti al gruppo in antagonisti dell’Occidente. Ma se l’obiettivo a breve termine sponsorizzato dalla Cina è quello del multipolarismo, per Steve Tsang, direttore del China Institute della School of Oriental and African Studies, “Xi non sta cercando di sbaragliare l’America nell’attuale ordine internazionale liberale dominato dagli Usa – ha detto alla Cnn – il suo obiettivo a lungo termine è trasformare l’ordine mondiale in sinocentrico“. Il Washington Post sottolinea poi che i Paesi “Non-allineati” in voga durante la Guerra Fredda tra i Paesi del Sud Globale, ora non possono più esistere in quanto tali, visto che l’impronta politica ed economica della Cina si è allargata nel mondo in via di sviluppo. E secondo il Financial Times, che cita fonti di Pechino, l’intenzione del Dragone è di fare pressione sugli altri Brics per diventare un blocco rivale del G7.

Certamente Xi, nel continente dopo cinque anni di assenza, è stato accolto in Sudafrica con tutti gli onori ed attenderlo c’erano “strade fiancheggiate da folle esultanti che sventolavano bandiere cinesi”, scrive il New York Times. La Cina negli ultimi anni si è infatti prodigata in monumentali investimenti nei Paesi africani – specie in infrastrutture e settore militare – che ne hanno aumentato l’influenza e consentito di aprire corridoi economici privilegiati, a scapito di Stati Uniti ed Europa, che nei fatti non hanno manifestato un interesse nemmeno comparabile. In più, il vertice a Johannesburg ha forti implicazioni geopolitiche per Pechino, visto che arriva dopo il summit di venerdì scorso a Camp David tra Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone – in un formato storico definito una “mini Nato” da Pechino – che ha sancito un rafforzamento dell’alleanza alle porte del gigante asiatico.

Pechino aspirante leader del nuovo ordine mondiale – Nel corso del vertice a Johannesburg – primo partner commerciale africano della Cina, a cui Pechino ha promesso anche la ricostruzione della rete elettrica – Xi Jinping ha invitato i Paesi Brics, che sono “una forza importante nel plasmare il panorama internazionale”, a scegliere “in modo indipendente il percorso di sviluppo”, a difendere “congiuntamente il diritto allo sviluppo” e a muoversi “insieme verso la modernizzazione, che rappresenta la direzione della società umana”, influenzando “profondamente il processo di sviluppo del mondo”. E ha sottolineato che i Brics “dovrebbero essere compagni sulla strada dello sviluppo e della rivitalizzazione e opporsi al disaccoppiamento e alla rottura delle catene degli approvvigionamenti e alla coercizione economica“. Un riferimento indiretto alle restrizioni imposte negli ultimi mesi per tagliare la fornitura di tecnologia americana da parte delle aziende cinesi, inclusi i chip. La Cina, che cerca di diventare autonoma in questo settore, ritiene che si tratti di misure per ostacolarne lo sviluppo e a mantenere la supremazia Usa. Ma non è stato l’unico attacco agli Usa: Xi ha calcato sulla “mentalità da Guerra fredda” che “sta ancora perseguitando il nostro mondo e la situazione geopolitica sta diventando tesa”. Per questo, ha aggiunto, “i paesi del Brics dovrebbero mantenere la direzione dello sviluppo pacifico e consolidare la loro partnership strategica”. Un ulteriore riferimento a Washington è poi arrivato in un’altra sua dichiarazione pronunciata dal ministro cinese del Commercio Wang Wentao: “Alcuni Paesi, ossessionati dal mantenimento della propria egemonia, hanno fatto di tutto per paralizzare i mercati emergenti e i Paesi in via di sviluppo”.

L’obiettivo dell’allargamento ad altri Paesi – Il presidente cinese è quello che più di ogni altro leader presente al vertice sostiene un “veloce allargamento” dei Brics ad altri Paesi, con lo scopo di “espandere la cooperazione politica e di sicurezza per sostenere la pace e la tranquillità” e “offrire i nostri buoni uffici sulle questioni più scottanti, spingendo per una soluzione politica e abbassando la temperatura”. Mantenendo ben chiaro che non è gradita alcuna interferenza, e nemmeno necessaria la condivisione di principi comuni né liberali: “Dovremmo rispettare tutti i percorsi di modernizzazione che ogni Paese sceglie da solo e opporci alla rivalità ideologica, al confronto sistemico e allo scontro di civiltà”. Secondo Eric Olander, caporedattore del sito web The China-Global South Project, “per Xi, l’obiettivo è cercare di screditare l’Occidente e dimostrare che esiste un’alternativa. Sta cercando di attingere a questo incredibile pozzo di risentimento e frustrazione tra molti paesi del Sud del mondo per ciò che percepiscono come questa massiccia doppiezza e ipocrisia da parte dei paesi ricchi”, ha dichiarato al New York Times, che sottolinea come la frustrazione su cui fa leva Xi in chiave anti-occidentale sia stata “alimentata negli ultimi anni dalle promesse non mantenute dei paesi sviluppati di fornire vaccini contro il Covid-19 ai paesi più poveri e dalla sensazione che non si stia facendo abbastanza per contrastare l’impennata dei prezzi di cibo ed energia”.

La “de-dollarizzazione” degli scambi – Se da Pechino arriva la proposta indiretta di leadership per un nuovo ordine mondiale alternativo a quello occidentale, a gettare le basi economiche per la sua costituzione è stato il presidente brasiliano Lula, che ha proposto di sostituire il dollaro negli scambi per essere indipendenti dalla valuta di un Paese terzo. Un fattore che secondo Putin è il passaggio cruciale verso un mondo “multilaterale”: per il leader del Cremlino, inoltre, la “de-dollarizzazione” è un processo che a suo parere sta già “prendendo piede” in modo “irreversibile“, come starebbe a dimostrare il fatto che negli scambi commerciali tra i cinque Paesi Brics nel corso del 2022 l’uso della moneta americana è stato pari solo al 28,7% del totale. Il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha però precisato che la discussione riguarda la possibilità di creare una unità di conto comune alternativa al dollaro, “in cui si può esprimere il costo della consegna delle materie prime”, ma “non si tratta di una valuta unica come in Ue“. Di fatto, la Nuova banca di sviluppo, l’istituto finanziario dei paesi Brics presieduto da Dilma Roussef, vuole già ridurre la dipendenza dalla valuta Usa e per questo intende iniziare a concedere prestiti nella valuta sudafricana e in quella brasiliana, anche per promuovere un sistema finanziario internazionale più multipolare. Li eroga invece già in yuan cinesi. Si tratta di un rischio reale per la moneta americana e gli scambi internazionali? “Finché il dollaro rimane la valuta ufficiale della riserva del pianeta – ha dichiarato il politologo Usa Ian Bremmer alla Stampa – non credo che ci siano rischi per il biglietto verde. I Brics non sono preparati a creare una valuta unica alternativa al momento, ma c’è un chiaro sforzo di limitare l’uso del dollaro come arma. Il grande problema dei Brics è che la globalizzazione non è più così veloce come negli ultimi 50 anni. Quei meccanismi che agevolavano la maggiore integrazione dei Brics col resto del mondo stanno diventando meno efficaci”.

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