Crollo dei consumi, calo delle esportazioni, industria in frenata, investimenti in picchiata, aumento della disoccupazione giovanile. “L’economia della Cina non sta collassando”, ha titolato senza fronzoli il Quotidiano del Popolo, pochi giorni prima degli ultimi dati trimestrali pubblicati dal National Bureau of Statistics. Dati deludenti su ogni fronte, che hanno costretto gli analisti a rivedere al ribasso tutte le stime. Mentre il settore immobiliare è a rischio implosione e sullo sfondo inizia a emergere l’incognita di un debito a livelli record.

Tra aprile e giugno il Pil cinese è cresciuto del 6,3% rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, meno delle previsioni (7,3%). Su base trimestrale l’incremento è stato dello 0,8%, rispetto al 2,2% del periodo precedente, e a una media dell’1,6% del periodo 2017-2019. Nei sei mesi la crescita è stata del 5,5%, mentre lo scorso anno era stata appena del 2,5% rispetto alla prima metà del 2021. In altre parole, Pechino sta facendo più fatica del previsto a uscire dallo stop forzato della pandemia e non si vede ancora la luce in fondo al tunnel. Sia JP Morgan che Morgan Stanley hanno portato a 5% le stime di crescita per l’anno in corso, abbassandole rispettivamente dal 5,5% e dal 5,7 per cento.

Al centro dell’attenzione c’è il settore immobiliare. Anche qui gli analisti di JP Morgan sono stati costretti a rivedere le stime e oggi si aspettano una contrazione del 20% per le nuove costruzioni, mentre le precedenti stime si fermavano al 7 per cento. Il crollo del colosso del real estate, Evergrande, alla fine del 2021 ha messo in allerta sia gli sviluppatori che gli acquirenti, e oggi i primi hanno difficoltà a ottenere prestiti per finanziare nuovi progetti, mentre i secondi sono cauti nell’acquistare nuove case che potrebbero perfino non essere costruite. “Probabilmente la debolezza del settore immobiliare sarà un freno alla crescita cinese per molti anni”, ha scritto Goldman Sachs in una nota.

Il tasso di proprietà delle case in Cina è uno dei più alti al mondo e supera il 95 per cento. Tra le famiglie proprietarie quasi la metà possiede almeno due alloggi. Negli ultimi anni l’elevata domanda nelle grandi metropoli ha spinto in alto i prezzi, e con il trasferimento della popolazione nei centri più densamente abitati, molti complessi residenziali nelle città emergenti sono rimasti vuoti: oggi si stima che siano 50 milioni le unità abitative inutilizzate, con un tasso medio di alloggi vuoti del 12 per cento. Inoltre, dal momento che circa il 70% dei risparmi delle famiglie cinesi è stato investito nell’immobiliare, i nuclei familiare non hanno liquidità per alimentare la crescita e restano estremamente prudenti sulle spese quotidiane e di beni durevoli.

Ecco perché nei primi sei mesi del 2023 i depositi sono cresciuti del 18%, mentre le vendite al dettaglio, dopo un’incoraggiante crescita del 12,7% anno su anno a maggio, hanno visto a giugno una brusca frenata con incremento del 3,1 per cento. Pochi giorni fa il Ministero del Commercio, insieme ad altri enti governativi, ha promosso una serie di azioni per incentivare l’acquisto di beni di consumo, casalinghi, elettrodomestici, arredamento ma anche automobili, dopo i sussidi già lanciati alcune settimane fa da diverse municipalità per permutare piccoli e grandi elettrodomestici. Il consumo interno nel primo semestre ha contribuito per il 77,2% al Prodotto interno lordo ed è il primo driver della crescita di quella che è ad oggi la seconda economia mondiale.

Se il mercato interno piange, l’export non ride. La prima metà dell’anno ha registrato una contrazione delle esportazioni che sfiora il 4%, secondo i dati rilasciati dalle Dogane. E se diminuisce la richiesta di beni, si riduce anche la produzione. Il Purchasing Managers Index (Pmi), indicatore che monitora i cambiamenti di produzione, nuovi ordini e prezzi, a giugno ha fatto segnare per il settore manifatturiero una contrazione per il terzo mese consecutivo. Anche gli investimenti esteri languono: nei primi 5 mesi si sono ridotti anno su anno del 5,6 per cento.

Inevitabilmente soffrono anche i lavoratori, che oltre ai tagli salariali sempre più diffusi, vedono un costante aumento delle ore lavorate medie a fronte delle riduzioni degli staff. A giugno le ore settimanali lavorate sono state in media 48,7, ai massimi degli ultimi anni e in continua crescita: solo nel 2018 erano circa 46. Allo stesso tempo, con una popolazione che lentamente in media inizia a invecchiare, la disoccupazione giovanile cresce a livelli inediti. Nella fascia tra i 16 e i 24 anni, nelle aree urbane, ha raggiunto il 21,3%, e la situazione non sembra rosea per gli oltre 11,5 milioni di neolaureati, cifra record, che quest’anno sono e saranno alla ricerca del primo impiego.

Sullo sfondo, intanto, inizia a esserci qualche grattacapo sul debito. Pechino ha raggiunto nel primo trimestre un rapporto debito/Pil del 279,7% secondo le stime di Bloomberg sui dati ufficiali, comprendendo sia debito pubblico che privato. Due le aree di particolare attenzione: il prestito facile delle banche alle imprese dopo la ripartenza, in un quadro economico che tuttavia non sta rispondendo secondo le aspettative, e l’indebitamento delle municipalità locali. Le finanze di alcune regioni, come il Guizhou, lo Yunnan o il Gansu sono sotto pressione per il crollo degli introiti, in alcuni casi drammatico: nel 2022 Tianjin ha registrato un -62% rispetto all’anno precedente, la regione dello Heilongjiang un -59 per cento. Goldman Sachs stima il debito delle municipalità in 156 trilioni di yuan, con alcune regioni più esposte di altre. Il governo centrale resta alla finestra e monitora l’evoluzione. Ma un’eventuale ristrutturazione potrebbe minare ancora di più la crescita zoppicante del dragone.

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