“Ho incontrato Marcello De Angelis ieri, in tarda serata, e dopo lunghe riflessioni e un attento e sincero confronto, ho deciso di non revocargli la fiducia. Pertanto, manterrà la direzione della comunicazione istituzionale in Regione”. Così il governatore del Lazio Francesco Rocca salva il suo collaboratore, ex parlamentare e giornalista con un passato nell’eversione di destra, finito al centro del ciclone per i suoi post su Facebook in cui ha negato le responsabilità neofasciste nella strage di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti e oltre duecento feriti), scrivendo di avere la “certezza” dell’estraneità di Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini, i tre terroristi neri condannati in via definitiva per l’attentato. E accusando di menzogne le cariche istituzionali che hanno ricordato la verità giudiziaria in occasione del 43esimo anniversario, a partire dal capo dello Stato Sergio Mattarella (ma il messaggio era diretto soprattutto al presidente del Senato Ignazio La Russa, proveniente dalla stessa area culturale). “So bene che, quanto affermato da Marcello De Angelis nei giorni scorsi in relazione alla strage di Bologna, ha offeso e turbato molti, ma il suo è stato un errore dettato da un forte coinvolgimento personale e affettivo a tragiche vicende che, tutt’oggi, animano la coscienza e il dibattito politico nazionale”, scrive Rocca in una nota. Il fratello di De Angelis, Nazareno detto Nanni, morto nel 1980 in carcere a Rebibbia, era stato infatti falsamente accusato di essere uno degli esecutori materiali della strage.

“Il mio primo pensiero, in questi giorni, è andato ai familiari delle vittime di Bologna e a quanto una parola sbagliata possa riaprire ferite mai rimarginate”, afferma il presidente della Regione. Lunedì, dopo quasi 48 ore di polemiche, De Angelis aveva fatto parziale marcia indietro dalle sue affermazioni con un nuovo post: “Intendo scusarmi con quelli a cui ho provocato disagi, trascinandoli in una situazione che ha assunto dimensioni per me inimmaginabili. Ho servito e rappresentato le istituzioni democratiche per anni e ne ho il massimo rispetto, così come per tutte le cariche dello Stato (…). Fra queste e prima di tutte, la Presidenza della nostra Repubblica. In merito alla più che quarantennale ricerca della verità sulla strage di Bologna, l’unica mia certezza è il dubbio“, aveva scritto. In serata lui e Rocca si sono incontrati a cena: “Un punto rilevante su cui ci siamo soffermati a lungo è quello, per me fondamentale, del rispetto delle sentenze. Nella mia vita ho sempre cercato di agire con il massimo rispetto per le opinioni altrui e per la libertà di espressione. Non ho mai censurato nessuno, ho fatto del dialogo il mio faro in qualunque tipo di attività intrapresa e cerco di ascoltare il dolore che si cela anche dietro a un passo falso”, aggiunge. “Dopo una lunga riflessione”, conclude, “ho deciso perciò di comprendere e non allontanare una persona sinceramente addolorata e che, indubbiamente, è una valida risorsa per la mia struttura. Spero che le sue sentite scuse, già espresse sui social, arrivino a tutti quanti con la stessa forza e autenticità che ho percepito io”.

In serata era arrivata la “blindatura” di Fratelli d’Italia – il partito che ha fatto eleggere Rocca alla presidenza della Regione – attraverso il mattinale distribuito ai parlamentari: “Chiedere il licenziamento di un giornalista che manifesta la propria opinione, del tutto personale, su una qualunque vicenda è prova che la cultura sovietica e comunista della censura alberga ancora nelle menti di molti esponenti del Pd. A nulla vale dire che Marcello De Angelis lavora per un ente pubblico. È un lavoratore e non un rappresentante del popolo; e un lavoratore mai può rischiare il licenziamento per le sue idee per quanto possano non essere gradite”. Durissimo il commento del presidente nazionale dell’Anpi (l’associazione dei partigiani) Gianfranco Pagliarulo, che aveva chiesto le dimissioni: “La mancata rimozione di De Angelis dal suo incarico in Regione conferma i legami tra Fratelli d’Italia e la galassia dell’eversione nera. È evidente l’accordo: tu fai una mezza retromarcia e io ti copro le spalle. In questo gioco delle parti la Meloni è assieme complice e ostaggio. Non può e non vuole recidere le relazioni con gli ambienti neofascisti, come peraltro dimostrato dal suo permanente rifiuto di condannare il fascismo. Ma ciò apre un serio problema istituzionale in particolare per gli alleati di governo, perché la Repubblica nata dalla Resistenza è incompatibile con chiunque faccia l’occhiolino alle nostalgie fasciste. Intanto l’Anpi fa appello a tutte le coscienze democratiche del Paese affinché si alzi una diffusa, intensa e unitaria voce di protesta”.

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