Il governo dovrà “garantire la piena ed effettiva tassazione dei ricavi conseguiti sul territorio nazionale per tutte le imprese appartenenti a gruppi multinazionali e nazionali non aventi una stabile organizzazione sul territorio nazionale anche valutando l’opportunità di rafforzare il potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate”. Lo prevede un ordine del giorno alla Delega fiscale approvato sostanzialmente all’unanimità dall’Assemblea di Montecitorio a fronte del parere favorevole del governo.

Il riferimento ai ricavi e non ai profitti (che è ciò che viene effettivamente sottoposto a tassazione) dipende forse dal fatto che in molti casi è praticamente impossibile accedere a questo dato. Le multinazionali rendono infatti noto l’utile che realizzano a livello complessivo, ma non scorporato paese per paese, proprio per complicare l’azione dei riscossori dei singoli paese. Una scelta comunque conforme con la regolamentazione internazionale sebbene non manchino le proposte per una maggiore trasparenza sulla suddivisione dei guadagni. Per questo spesso si usano i ricavi, che dicono molto sulle dimensioni di un’azienda ma poco sulla sua profittabilità, come indicatore di massima di una tassazione plausibile. I casi eclatanti in Italia e altrove non mancano. Gruppi che fatturano (quindi ricavano) miliardi di euro che pagano in tasse meno di un milione, come un’azienda di piccole dimensioni. Un fenomeno particolarmente esasperato tra i giganti di internet che, per la natura della loro attività, hanno una particolare facilità nello spostare i profitti verso giurisdizioni segrete, i cosiddetti paradisi fiscali. Ogni anno l’Italia perde, grazie a queste tecniche, circa 28 miliardi di euro di imponibile e 7 miliardi di gettito.

Per il governo italiano passare dalle buone intenzioni ai fatti non sarà semplice. Le regole internazionali consentono infatti queste pratiche difficilmente arginabili con semplici accertamenti, tranne che nei casi di palesi violazioni. A livello internazionale, soprattutto in sede Ocse, si sta faticosamente cercando di coordinare un’azione comune basata sull’introduzione di un’aliquota minima globale del 15%. In pratica se un paese tassa i profitti, ad esempio, al 10% lo stato di residenza della società può esigere il restante 5%. Un regime che tende però a favorire gli Stati Uniti dove molte delle multinazionali soggette al nuovo sistema hanno sede. Gli altri paesi potranno tassare con le loro aliquote appena il 25% della quota dei profitti che eccede il 10% dei ricavi. In alcuni casi colossi industriali come Amazon (che ha tanti ricavi e profitti ma anche tanti costi legati alla rete logistica) potrebbero addirittura finire per versare meno imposte di prima. Con questa struttura sono tagliati fuori da ogni beneficio i paesi più poveri dove molte multinazionali realizzano ricavi e profitti ma non hanno la loro sede

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