Con la stessa, insostenibile leggerezza che lo ha portato poche ore prima a sventolare in Parlamento la propria busta paga – chiedendo: “Vi pare uno stipendio d’oro?” – il sette volte deputato Piero Fassino indossa le vesti del combattente per la giusta causa della lotta alla povertà. Incurante delle parole pronunciate a Montecitorio il giorno dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza, il rappresentante dem, nonché ex segretario dei Democratici di Sinistra, si rivolge al popolo della Festa dell’Unità di Cappella Maggiore, nella campagna trevigiana un tempo leghista ed oggi meloniana, snocciolando il bollettino di guerra delle buone intenzioni: “Oggi la principale questione in Italia è di carattere salariale. La media di quanto guadagna l’80 per cento dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato va dai 1.200 ai 1.600 euro al mese. La media per i più giovani va dai 700 ai 1.000 euro al mese. Ma noi continuiamo la nostra battaglia”.

Siccome lui ha detto di guadagnare soltanto 4.718 euro netti al mese – dimenticandosi un fiume di voci aggiuntive, nonché le trattenute previdenziali, assistenziali, fiscali, che ogni cittadino paga – non serve una calcolatrice per cogliere lo stridore assordante dei numeri. L’ostentato stipendio-bonsai del rappresentante del popolo (rispetto alla disponibilità triplicata grazie a diaria, portaborse, rimborsi spese, telefono, forfait per l’aeroporto, treni e viaggi gratis) disegna il divario tra la gente comune e la nomenklatura. Il problema è che della contraddizione Piero Fassino neppure se ne accorge, calato com’è nella parte del sempiterno della politica che sta facendo visita al proprio territorio elettorale, dove peraltro il segretario Enrico Letta lo ha paracadutato (dal Piemonte) quasi un anno fa.

Quelli che se ne accorgono, invece, sono i diessini che, già costretti a vivere lì dove impera il governatore Luca Zaia, appaiono alquanto disillusi rispetto a un partito nato per difendere i deboli, che da un lato sbandiera la questione salariale, mentre dall’altro difende i propri privilegi. Sono basiti, più che furiosi. Non contestano, ma neppure capiscono. Seduti ai tavoloni della festa, addentano costicine e salsicce, assaporando ciò che la paga consente loro. “Averlo uno stipendio così, come quello di Fassino” sospira Fanni, 60 anni “giusti, giusti”. “Sono 44 anni che lavoro come collaboratrice scolastica, ho uno stipendio di 1.250 euro e a settembre posso andare in pensione con 1.050 euro. Gli spaccherei la testa a tutti questi politici, vorrei vederli loro mangiare con mille euro al mese… Io mi permetto ogni tanto di andare alla sagra, loro vanno al ristorante”.

Piero Fassino è a tavola con Maria Rosa Barazza, sindachessa di Cappella Maggiore arrivata al terzo mandato (più uno da vicesindaco). I compagni abbozzano, in perfetto stile veneto. Luca, 50 anni: “Lui guadagna così? E noi lavoriamo tanto. Ho sempre votato centrosinistra, faccio l’infermiere in ospedale, dopo 32 anni prendo 1.700 euro e non mi lamento, anzi sono contento”. Un altro Luca: “Evidentemente Fassino si è dimenticato di tutte le indennità e le agevolazioni dei parlamentari. Sventolare la busta paga è come prenderci in giro”. Dafne ha 64 anni ed è una fedelissima elettrice del Pd, al punto da manifestare idiosincrasia per il reddito di cittadinanza, seppur con qualche venatura proto-leghista. “Io il reddito non l’ho mai condiviso, mentre sono d’accordo con Paolo Crepet, ovvero che ognuno ha il diritto ad avere e tenere un lavoro. Perché da noi il lavoro c’è. Anzi, sa che le dico? In Meridione hanno più soldi e più privilegi di noi, poi vengono ad investirli al Nord”. Ma precisa: “Non ho nulla contro le persone”.

Corrado di anni ne ha 66. Anche lui sospira: “Finora la segretaria Schlein non ha fatto molto. Invece, lo sa che mi stanno sul gozzo i vitalizi? Sono ingiusti, perché poi passano agli eredi. Io, dopo 43 anni di lavoro, lascerò una piccola parte della mia pensione a mia moglie ed è finita lì. Invece i politici… Io li accomuno tutti: quando si tratta dei loro privilegi, sono uguali, nessuno vota contrario. Bisognerebbe cambiare”. C’è chi la butta in amara ironia, come Doris, sessantenne: “Con tutti quei soldi, Fassino potrebbe offrirci da mangiare a tutti”. Renato, pensionato con i baffetti. “Se la stampa facesse davvero il suo lavoro, anche i politici dovrebbero dire la verità. Invece non se ne salva nessuno. La gente ha bisogno di credere in qualcosa, ma poi resta delusa”. Fassino è troppo lontano, non sente i mugugni di un popolo sempre più confuso e sempre meno ideologico.

Cambia la tavolata, non lo stupore, stavolta giovanile. “Quattromilasettecentodiciotto euro… ma al mese?” chiede Michela, 25 anni, che non crede si possa guadagnare tanto. In realtà, incamerano il triplo… “Uuuhhh!” ulula Irene, una biondina che fa l’educatrice sociale in una cooperativa. “Io guadagno 7 euro all’ora, una miseria al confronto”. Poi ha un attimo di riflessione: “Forse prendono così tanto perché svolgono un ruolo importante di rappresentanza…”, concede. Anche Massimo, 23 anni, progettista di impianti, si concede al dubbio, subito fugato: “Hanno studiato e si assumono grandi responsabilità… ma è anche vero che in Parlamento ci va di tutto, mentre dovrebbero entrare solo i migliori”. Forse non lo sa, ma in un’altra epoca e in un altro mondo, il Migliore era il soprannome di Palmiro Togliatti, fondatore e capo del Partito Comunista d’Italia.

Piero Fassino, lontano erede di quella tradizione, conclude la serata parlando a una quarantina di fedelissimi. Alla fine si indispettisce per la domanda del fattoquotidiano.it che riguarda il contrasto tra i redditi medi degli italiani e la sua busta paga parlamentare. “Non avete capito niente. Non l’ho mostrata per sostenere che l’indennità dovrebbe essere aumentata, ma per far capire ai miei colleghi che devono contrastare la vulgata secondo cui noi guadagniamo 10 mila euro. Lo sa che i consiglieri regionali prendono più di noi?”. In soccorso arriva la sindachessa Barazza: “Che domande! Ma sono questi i veri problemi dell’Italia?”.

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