Pochi ex studenti di Giurisprudenza ricorderanno il loro vecchio professore di Diritto parlamentare a Palermo: si tratta di Sergio Mattarella – considerato da alcuni uno ostico agli esami, per via degli imbarazzanti silenzi – che prima di scendere in campo in politica, anche a causa della tragedia familiare subita, era appunto un apprezzato docente di quell’ateneo.

Dopo molti lustri, l’anziano accademico ha deciso, nel suo “nuovo” ruolo di capo dello Stato, di rispolverare i suoi vecchi studi (a memoria cito le note in tema di indagini conoscitive delle giunte e delle commissioni del Senato, del 1969) e porgere una vera e propria lezione sulle commissioni d’inchiesta quale strumento conoscitivo e d’indagine parlamentare.

Non poteva essere più chiaro e diretto il professor Mattarella a proposito della istituzione di una commissione sul Covid. In un momento in cui i rapporti fra magistratura e potere politico appaiono particolarmente problematici era opportuno, meglio ancora doveroso, sottolineare e ribadire che l’operato di una commissione parlamentare mai potrà sovrapporsi o, peggio, contrapporsi al lavoro della magistratura, perché ne va del principio della separazione dei poteri. E ancora, nessuna commissione potrà ridiscutere i limiti e la portata dei provvedimenti normativi adottati dal governo ai tempi della pandemia, giacché essi possono essere oggetto di giudizio di costituzionalità esclusivamente di fronte alla Corte costituzionale.

Sorprende che parlamentari navigati ed esperti quali sono molti esponenti dell’attuale maggioranza e componenti autorevoli del governo possano essere inciampati in errori così grossolani. Da studenti sarebbero certamente incappati in una sonora bocciatura.

Sarebbe tuttavia diabolico se il medesimo schema concettuale fosse utilizzato contro l’ex presidente dell’Inps, fatto oggetto di accuse infamanti e “minacciato” di essere il principale destinatario di una ulteriore Commissione parlamentare d’inchiesta (stavolta sul reddito di cittadinanza).

Mi pare di registrare un approccio superficiale e politicamente vendicativo e forcaiolo ai problemi e anche e soprattutto un lento ma costante intensificarsi degli interventi, diretti o indiretti, confidenziali o pubblici, del Quirinale, chiamato troppe volte a tenere dritta la barra dell’agire politico, che deve necessariamente adeguarsi alla Costituzione. Talvolta gli interventi sono apparsi “timidi”, ma su quello, ne sono certo, incide il carattere fermo ma mite del “vecchio” professore palermitano.

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