Perché affaticarsi in corsi di meditazione, mindfulness, pratiche zen, quando è sufficiente un volo aereo? Basta anche un volo breve, ad esempio un volo Lamezia Terme-Linate acquistato con cinque mesi di anticipo, con posti già assegnati in una fila specifica e appositamente richiesta per esigenze familiari (cagnolino e bimba di sei anni).

Ci pensa la compagnia aerea, nella fattispecie la sempre più fané Ita – che tristezza anche solo il nome, per il sano vecchio campanilismo di chi amava Alitalia e il suo inconfondibile stile – a procurare le condizioni adatte alla crescita interiore e all’evoluzione spirituale dei suoi passeggeri. E non con musica d’ispirazione o accessori in dotazione: con l’ottimo strumento dell’overbooking, naturalmente in una giornata di sciopero degli aeroportuali di terra e senza alcun preavviso di imbarco negato per i passeggeri.

Il training comincia però con l’arrivo in aeroporto, appositamente con tre ore di anticipo, memori della paralisi e del disservizio costante che di anno in anno si osservano a Lamezia Terme, anche in giornate di ordinaria attività. Ci accoglie quello che somiglia più a un girone dantesco che a un aeroporto: gruppi interi scaricati da pullman dei tour operator dei villaggi vacanze costieri che si riversano nell’angusto corner del check-in riservato a Ita, incuranti degli arti altrui e tantomeno dell’equilibrio degli altrui bagagli, che nel nostro caso sono quattro valigie dei componenti della famiglia, più due voluminosi e pesanti bagagli di attrezzatura sportiva, quindi non esattamente agevoli da spostare sui carrelli disponibili, da sempre rotti e sbilenchi (ci si chiede in effetti se siano stati già acquistati così, per una ulteriore sessione di training anche di tipo motorio nella conduzione).

Dopo che le anime dannate hanno effettivamente lasciato “ogne speranza” all’entrata, un Caronte arriva urlando e sgarbatamente ci intima di spostarci spingendoci con le braccia: ma la domanda amletica è dove, visto che tutta l’area è completamente occupata da persone e bagagli e non c’è un solo spazio per muoversi. Apprendiamo che, non avendo paletti per organizzare il flusso (anche questi eliminati per creare la giusta confusione che allena qualità come levitazione per sollevarsi sopra la folla, telecinesi per sollevare anche i bagagli e così via), i passeggeri in attesa di check-in stanno impedendo l’accesso ai gate.

Allora comincia un’esilarante contorsione di persone per far passare un rigagnolo di malcapitati turisti stranieri che devono imbarcarsi e vengono pure redarguiti perché in ritardo. Non so se per loro il training di lavoro su di sé abbia funzionato o ne abbiano tratto solo l’ennesimo esempio di disservizio e maleducazione che purtroppo continua a rovinare quello che invece è un paese meraviglioso, ma fino a quel momento per me, mia figlia e il resto dei familiari l’allenamento alla pazienza e all’ironia stava funzionando perfettamente (a proposito, ci sarà una quota addizionale di partecipazione al training da saldare o era compreso nel costo dei biglietti? O forse è per questo che il costo dei biglietti continua a salire!, perché è compreso questo prezioso servizio).

In questo caso vi posso assicurare che hanno perfettamente ragione i maestri zen. Mi ricordo di una conosciuta a New York che, dopo averti accolto come allievo, per un intero anno ti affidava come unico compito quello di vivere la quotidianità nella metropoli in uno stato di presenza a te stesso e senza che eventi esterni avessero il potere di mutare il tuo stato interiore: soleva dire che lo zen non serve per praticare in una sala ad occhi chiusi, ma per vivere, e che non ha alcun senso praticare esercizi se poi appena ripresa la quotidianità non cambia nulla. Grazie ad Ita, in sole tre ore, l’insegnamento zen poteva già essere messo in atto.

Ma questo non era che il training di partenza, Ita fa le cose in grande e ci aspetta una sessione intensiva al check-in. Dopo tre ore di immobilità in stazione eretta (ottima anche per valutare lo stato del sistema circolatorio) qualcosa si muove e raggiungiamo il desk del check-in, dove peraltro campeggia, in forma pregiudizievole, l’utilissima guida sui diritti del passeggero dell’Enac.

Essendo tutti i voli cancellati, eccetto il nostro, ci sentivamo già baciati dalla sorte e il ritardo accumulato non era che una bazzecola al confronto della possibilità di non partire, già toccata ad altri che preparavano bivacchi a terra con coperte e valigie. Ma proprio in questi frangenti il training può essere svolto al meglio, perché giunti al cospetto della hostess di terra apprendiamo che i nostri biglietti non ci sono più, tranne uno. Il famigerato overbooking, permesso da una legge ingiusta, travestita da libero mercato e sostenibilità, ha colpito ancora, oltretutto con il folle paradosso di far partire un membro della famiglia e lasciare a terra gli altri.

I bagagli però vengono etichettati: quelli volendo possono partire per perdersi a Linate dove non ci sarà nessuno ovviamente a ritirarli. Al diniego di far partire solo i bagagli, la hostess ce li fa nuovamente scaricare a terra – workout muscolare utilissimo – e ci lascia in attesa di maggiori informazioni ad libitum. Soft skills allenate con successo: gestione della rabbia, pazienza, fede in una entità di intelligenza più elevata in grado di trovarci una eventuale sistemazione per la notte. Qui i diversi componenti della famiglia passano dallo stoicismo all’epicureismo alla new age. Personalmente decido per l’esercizio dell’intento, per cui mi piazzo davanti al desk e affermo “io oggi parto e rientro a casa, in qualsiasi modo e con tutta la famiglia.”

Nel frattempo, apprendo sulla guida che nel caso di “negato imbarco con passeggero non consenziente” – e no, non sono consenziente affatto – il rimborso per una tratta breve è di 250 euro, contro i 2500 già spesi: in fondo è questione solo di uno zero, non è il caso di sottilizzare. Siccome ripeto ad alta voce il mio intento, forse la hostess mi sente, si attacca al telefono e sfodera una insperata tenacia perché, mentre discute ripetutamente sul fatto che ci sia una bambina, che si tratti di una famiglia, guarda e riguarda al monitor il plan dei posti sull’aeromobile e scopre che in effetti altri tre posti, seppure non i nostri, ci sono eccome, è la caposcalo dall’altra parte del filo che le dice – testualmente perché sentita urlarlo con le nostre orecchie: “che ti frega, mollali a terra che siamo in ritardo e dobbiamo partire”.

Ma lei insiste e, senza sapere esattamente che posti avremo, ci stampa i biglietti in fretta e furia, ci fa caricare i bagagli sul nastro (ulteriore graditissimo workout muscolare) e ci manda al gate. Al controllo la polizia aeroportuale non vuol sentire ragioni finché l’altoparlante non gracchia i nostri nomi per “ultima chiamata”, con quella che ormai riconosciamo come l’invisa voce della caposcalo, che poi, molto scocciata, ci redarguisce per il ritardo all’imbarco: “ama i tuoi nemici” è davvero per la componente divina dell’uomo, perché in effetti amare la caposcalo in quell’attimo è stato, per così dire, sfidante. Più abbordabile il compito di vedere la bellezza collaterale del tutto, ad esempio riflessa nello spirito oltremodo combattivo della mia piccola figlia, che ha sfoderato una pazienza e una tenacia incredibili per una bambina di sei anni.

Saliti a bordo, scopriamo che i nostri posti sono occupati da… assistenti di volo, presumibilmente in sciopero, che rientrano su Linate! Ogni commento sarebbe superfluo, tanto che uno di loro si alza per lasciare almeno seduta vicino a me mia figlia. Oltretutto un rapido sguardo all’abitacolo ci fa notare che di posti liberi ce ne sono ancora: il training ora è completato.

Perché questo post? Per tre ragioni: perché ritengo che per cambiare le cose non si debba tacere su ciò che non va, perché la differenza tra la hostess di terra e la caposcalo la dice lunga sulla differenza che ogni singolo essere umano può fare su questo pianeta e perché è vero che ogni evento della nostra vita può essere occasione di espressione per la coscienza.

Dimenticavo: il testo è stato scritto a mano, sul sacchetto in dotazione per chi ha il mal d’aria, giusto per il riciclo consapevole del disgusto.

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