Giugno 2013: Vladimir Putin partecipa al G8 di Lough Erne, nell’Irlanda del Nord, l’ultimo prima dell’esclusione della Russia dopo l’occupazione illegale della Crimea nel 2014. Il leader russo appare in buona forma: si presenta agli incontri informali in camicia e incontra il presidente americano Barack Obama. Da allora è successo di tutto: ascesa e caduta dei leader populisti, ascesa e caduta dello Stato islamico, migrazioni di massa, la seconda peggiore pandemia degli ultimi due secoli, guerra in Donbass prima e una guerra sanguinosissima tra Ucraina – sostenuta in modo crescente dall’occidente – e Russia poi. Ma il prezzo del grano sul mercato di riferimento, la borsa merci di Chicago, è pressoché lo stesso del 21 luglio 2023.

Il mancato rinnovo e i piani di vendita dell’Ucraina – D’altronde, il raccolto di grano dell’Ucraina nel 2023 potrebbe raggiungere almeno 24 milioni di tonnellate, superando di gran lunga le aspettative ufficiali (il ministero dell’agricoltura prevedeva solo 17 milioni di tonnellate) e rimbalzando – nei territori non occupati – vicino ai livelli prebellici. Nella primavera 2022, prima dell’accordo sul grano mediato dalla Turchia e ora non rinnovato da Mosca, Kiev era riuscita a spostare i propri cereali usando il trasporto su rotaia e su gomma: quindi, l’idea che il grano resti a marcire nei silos è fuori discussione. Quanto alle infrastrutture, per distruggere le quali il Cremlino impiega missili dal valore di molti milioni di dollari ciascuno, possono essere ricostruite in poche settimane. Nel frattempo, spostando i cereali sui camion e sui treni, gli ucraini devono solo evitare di venderli nei paesi amici dell’Europa orientale (Polonia, Slovacchia, Romania ecc.) per non acuire le tensioni con gli agricoltori locali.

Con la situazione politica interna in fibrillazione dopo il fallito ammutinamento armato di Wagner e la sua posizione internazionale danneggiata dalla guerra, il grano rimane una delle principali fonti di influenza per la Russia: i problemi, purtroppo per Mosca, sono derivati dal raccolto record dello scorso anno che si è combinato con problemi globali portando i prezzi a essere assolutamente insoddisfacenti per i produttori russi, cioè troppo bassi. A dirlo è stato il ministro dell’Agricoltura Dmitry Patrushev in una riunione presieduta dal presidente Vladimir Putin.

Questo non significa che il mondo debba stare a guardare senza preoccuparsi. Come spiega a ilfattoquotidiano.it l’esperto di sicurezza israeliano Lion Udler, “l’Ucraina è il quinto esportatore di grano al mondo e l’assedio russo al Mar Nero rende difficile l’esportazione. Paesi come l’Egitto, il Libano e il Pakistan sono i maggiori importatori di grano ucraino. Israele importa circa il 60-70% del consumo di grano dall’Ucraina”. Nessuno può negare che “molti paesi africani e dell’Africa meridionale rischiano di cadere in una problematica alimentare che potenzialmente porterebbe a una crisi violenta a causa della fame, come è già accaduto in passato in Libano, Siria e Iraq”. In Medio Oriente la cosa è presa molto sul serio: “L’establishment della sicurezza israeliano ha previsto un capitolo del piano di sicurezza sulla crisi climatica globale che potrebbe dimostrarsi utile se non ci sarà un accordo sul grano ucraino anche per la crisi che potremmo dover affrontare tra circa dieci settimane”.

L’attesa di una reazione da Pechino – Il tenente generale in pensione – ed ex comandante delle forze americane in Europa – Ben Hodges è tra i massimi esperti della guerra in corso. “Nessuno dovrebbe essere sorpreso”, dice, “dal fatto che la Russia rompa un accordo, attacchi un deposito di grano a Odessa e poi tenti di usarlo come mezzo di pressione sull’Ucraina: a loro non interessa assolutamente l’impatto di tutto questo sui milioni di esseri umani che dipendono da quel grano per la sopravvivenza; conoscono solo la forza”. Questo dimostra ancora una volta come sia “impossibile aspettarsi affidabilità da parte della Russia in qualsiasi negoziato a meno che non sia costretta a conformarsi”. Allo stesso modo, “le minacce russe di attaccare qualsiasi nave nel Mar Nero riguardano anche la libertà di navigazione”, non solo il commercio di prodotti alimentari. La limitazione alla navigazione dovrebbe interessare anche la Cina: “In qualità di membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dovrebbe chiarire che l’interruzione delle spedizioni di grano da parte della Russia e le minacce contro le spedizioni sono inaccettabili e dovrebbe esercitare pressioni sulla Russia”. Dato che un quarto del grano ucraino prende la via della Repubblica popolare cinese, il mondo da giorni attende segnali circa la posizione di Pechino.

Hodges continua: “Questo è un altro promemoria del motivo per cui la Crimea è il terreno decisivo di questa guerra. Senza la loro base navale illegale a Sebastopoli, i russi sarebbero molto meno in grado di minacciare Odessa, gli altri porti ucraini e i carichi di grano. La Crimea non è solo un territorio che dovrebbe essere negoziato, è il più importante territorio ucraino ancora occupato illegalmente dalla Russia”. In termini pratici, il generale – che ha anticipato puntualmente molti eventi accaduti poi in questa guerra – sostiene che gli Usa “dovrebbero lavorare con l’Ucraina per fornire loro sistemi marittimi senza equipaggio per proteggere le navi, rilevare mine, tenere lontana la flotta russa del Mar Nero. Dovremmo anche lavorare con la Turchia per trovare il modo di proteggere le spedizioni di grano”. Chissà che a Washington non ci stiano già lavorando?

Ma davvero la Russia è pronta ad affondare navi civili che magari battono bandiera di un paese membro della Nato? Secondo Gian Carlo Poddighe, vicepresidente del Cesmar (Centro studi di geopolitica e strategia marittima), Mosca “si guarderà bene dall’attaccare navi di paesi terzi: il grano è un prodotto strategico più per loro che per gli ucraini e non hanno interesse a una guerra navale nel Mar Nero”. Le minacce russe sembrano più “esibizione di muscoli che preludio a attacchi indiscriminati, in un quadro in cui non c’è nemmeno uno stato di guerra dichiarata” da parte del Cremlino. Piuttosto, la crisi sembra utile a distogliere l’attenzione dall’attivismo russo (e russo-cinese) nelle acque del Mediterraneo, dove Mosca “ha aggiunto alla base di Tartus in Siria crescenti relazioni con Algeria e Libia, in assenza di un piano di sicurezza strategica della NATO e men che meno dell’Unione europea”. Ovviamente, dopo la figuraccia di Vladimir Putin che non andrà al summit dei Brics in Sudafrica per non rischiare l’arresto, l’attuale crisi serve come “strumento di pressione sui paesi africani, sui quali gli Usa hanno ricominciato a esercitare influenza dopo averli abbandonati negli ultimi decenni”.

Insomma, per il momento il piatto di pasta non è in pericolo: né lo è la frittura di pesce, dato che la produzione ucraina di olio di girasoli è ai massimi e ci raggiunge via terra. Chi sostenesse che i missili russi potrebbero essere usati anche solo nel breve-medio periodo per colpire i treni e le infrastrutture agricole ucraine non costiere infliggendo un danno serio direbbe una sciocchezza colossale: i terreni agricoli ucraini sono estesi il triplo di quelli dell’Italia. Per danneggiarli in modo significativo servirebbero – lo scriviamo per paradosso – diverse testate nucleari. Infine, anche se l’ipotesi che Mosca decida di colpire o abbordare una nave cargo di un paese terzo di scarso peso geopolitico non è da escludere, lo è, invece, l’affondamento di una battente bandiera di un paese dell’alleanza atlantica che provocherebbe una reazione -nel senso di un aumento della pressione della NATO con mezzi da guerra convenzionale, non nucleare – che le forze russe non potrebbero tollerare.

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