di Dante Nicola Faraoni

La lotta per il salario a nove euro come richiede l’opposizione al governo Meloni è poca cosa in confronto alla velocità con cui corre la povertà in Italia. Questa piaga sociale si affaccia prepotentemente alle porte della classe media e nessuno può negare che in questo modo la distribuzione della ricchezza viene inesorabilmente erosa. La perdita dei valori umani e costituzionali delle leadership di questo Paese è un dato di fatto e ha contagiato quella classe media a cui tutta la politica cerca di parlare. Se gli italiani si abituano a ragionare: “ciò che accade agli altri non mi riguarda, l’importante è che mi salvi io” dimostrano di rifiutare i valori fondanti dei padri costituenti. Ci siamo forse persi per strada qualcosa che le destre hanno raccolto e buttato nella spazzatura: le libertà costituzionali.

A milioni di salariati che non hanno i soldi per finire il mese cosa può interessare della Costituzione? I poveri assoluti non sanno cosa sia la Costituzione e i super ricchi riconoscono solo il valore del denaro. Va presa coscienza che la battaglia sul salario minimo è di fondamentale importanza per la ripresa economica, ma soprattutto per la rinascita di quei valori sociali che il sistema sta voracemente divorando. Il principio che deve essere avanzato è la garanzia delle minime necessità (cibo, vestiti, casa, servizio sanitario, istruzione), articoli 25 e 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani, che è poi l’applicazione dell’art. 36 della Costituzione.

Se fai una battaglia sul salario minimo esso deve coprire le minime necessità, perché è questo il valore umano che l’economia deve garantire. Solo se la lotta si farà per questo valore i lavoratori prenderanno coscienza costituzionale. L’opposizione si deve muovere in questa direzione: M5s, sinistre, sindacati sbagliano a fare la lotta con l’obbiettivo dei nove euro perché è priva di valore etico ed economico. Il sindacato non può nemmeno pensare: “la congiuntura non è favorevole non bisogna troppo scomodare gli imprenditori”. Ragionare in questa maniera non solo provoca da anni la diminuzione di lavoratori e iscritti, ma proliferano i lavoratori sottopagati e precari.

Il problema della povertà è strutturale, cioè ci sono meccanismi socio-economici che producono il rischio di povertà. Altrimenti non sarebbe possibile spiegare perché, mentre gli imprenditori aumentano i profitti, i lavoratori hanno sempre meno potere d’acquisto e la povertà avanza. Se la garanzia delle minime necessità è un valore universalmente riconosciuto, perché imprenditori e super ricchi non dovrebbero rispettare la Costituzione? Non potranno giustificare di fronte all’opinione pubblica i loro lauti profitti mentre pagano stipendi da fame ai loro lavoratori e la povertà attanaglia il 25% della popolazione.

Se la Confindustria e tutte le sue “sorelle minori” negheranno tali valori, bisogna lottare e richiedere la modifica esplicita in tal senso dell’articolo 36 della Costituzione. “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente a garantire le minime necessità (cibo, vestiario, casa, sanità e istruzione) a sé e alla famiglia, necessarie per un’esistenza libera e dignitosa”. Non basterà portare i lavoratori in piazza, bisogna risvegliare le coscienze degli italiani. Bisogna mettere su una bilancia il valore della dignità umana e il valore del denaro, allora sì che i super ricchi e le loro schiere di cortigiani inizieranno a preoccuparsi. La lotta per il salario minimo avrà un risultato positivo solo se si inizierà a rivendicare il limite dell’iniziativa economica privata come prevede l’art. 41 della Costituzione “… Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Se non saremo capaci di trasmettere questi valori agli italiani la battaglia si perde. Se la lotta alla povertà salariale diventa un valore si vince.

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