La coppia di difensori più “cattiva” degli anni Novanta non l’abbiamo mai vista. O meglio, soltanto per poche partite, quando entrambi i componenti erano più vicino ai quaranta che non ai trenta. Nel 1996 Franco Baresi era all’ultima stagione della carriera, a settembre arrivò al Milan anche Pietro Vierchowod. Giocarono una decina di gare, soprattutto nel girone di ritorno con Arrigo Sacchi in panchina in una squadra in grossa difficoltà. I due campioni erano in campo anche nel maledetto 1-6 con la Juventus di Marcello Lippi. Ma per molti attaccanti di quel decennio la coppia più dura in assoluto – o quella che avrebbe potuto esserlo solo un paio d’anni prima – è proprio Baresi-Vierchowod. Che fossero i più “cattivi” (attenzione però: furono anche il libero e lo stopper più forti della loro generazione) lo sostengono due numeri 9 tipici del periodo, Marco Branca e Alessandro Melli. Pure Beppe Signori cita immediatamente Baresi. Fa lo stesso Marco Simone, con il capitano rossonero aveva “la sfortuna” di giocare quotidianamente le partitelle a Milanello. Arturo di Napoli e Aldo Serena segnalano il marcatore di origine russa.

Fortunatamente per le articolazioni dei bomber i due fuoriclasse sono stati in coppia per poco tempo. Franco e Pietro in realtà hanno giocato diverse partite insieme in Nazionale sin dal 1983, senza però essere mai titolari entrambi allo stesso mondiale o europeo. Il vero cattivone del periodo, stando al record di cartellini rossi (sedici in A tra Atalanta e Juventus) è Paolo Montero, votato da Pippo Maniero, Arturo Di Napoli e Marco Negri. L’uruguaiano e Mark Iuliano si sono dimostrati davvero feroci nel difendere la porta bianconera, con mezzi leciti e anche non. Carlo Nervo e Igor Protti hanno indicato Fernando Couto, che come collega di reparto ha avuto Cannavaro a Parma e Nesta alla Lazio, entrambi con un gioco tutto sommato troppo pulito per far salire il portoghese dalle undici espulsioni in Italia nel gradino più alto del podio.

Per trovare una coppia tutta italiana che abbia giocato insieme per alcune stagioni, davvero tosta nell’immaginario di calciatori e appassionati, bisogna andare a Torino, sponda granata, a inizio anni Novanta. Pasquale BrunoEnrico Annoni è un duo che diventa un trio, perché per due campionati sono stati affiancati da Roberto Policano. Sono i primi che nomina Luis Oliveira. Melli, Signori e Serena confermano che i torinisti sapevano mettere la gamba. Bastino i soprannomi: Tarzan per Annoni, O’ Animale per Bruno, Rambo per Policano. “Piano – sorride Bruno – noi eravamo angeli rispetto a Di Somma e Cattaneo. Avellino, altro che Far West… Io, Enrico e Poli eravamo tutti d’un pezzo. Senza paura, perché un calciatore che si spaventa quando entra in uno stadio deve cambiare mestiere. Non avevamo timore neanche a Madrid, Porto o ad Atene. Solo quando andavamo nella Germania dell’Est o in Romania, quando c’era la dittatura, ci dicevamo al momento di partire: giovedì speriamo di riuscire a tornare. Ma era più la tristezza di vedere quei posti che non la paura. Ci dovevano calmare, non avevamo bisogno di ulteriori motivazioni. Alla vigilia di ogni partita io prendevo l’Esilgan, un sonnifero”.

Bruno considera il suo maestro Francesco Casagrande, “mediano del Como. Era un killer e da lui ho imparato tanto”. Quando nel 1990 arrivò in granata dalla Juventus era già O’ Animale.
“Policano era già al Toro – racconta – quando Mondonico portò anche me e Annoni perché ci aveva avuto entrambi al Como. Io e Enrico eravamo due combattenti, le marcature le decideva sempre il mister. Io temevo più di tutti gli uruguaiani Aguilera e Sosa, piccoletti che mi provocavano, magari pestandomi la mano quand’ero a terra in modo da farmi sclerare. Enrico era più tranquillo di Policano. A Madrid Cravero mi dice: ‘Pasqua, di a Robi di stare tranquillo. Calma, Poli, calma! Non mi rompere i coglioni’, mi urla lui e dopo due minuti viene espulso per un’entrataccia su Michel. Io e Poli, che era fortissimo e avremmo potuto fare una carriera ancora migliore, avevamo la lingua lunga. Parlavamo più di Enrico. Marcalo, tienilo, dagli una gomitata! La gamba la mettevamo tutti e tre, mai levata. Enrico era un duro ma non esagerava mai. Io e Poli eravamo più cattivi, bisogna ammetterlo. Quella volta che Van Basten fece un balletto con me a terra dopo un mio autogol, fu molto bravo Capello che tolse l’olandese immediatamente, sennò sarebbe finita male. Gli avrei causato danni seri. La partita successiva contro il Milan Mondo mise Annoni su di lui e il sottoscritto su Papin. Ci rimasi male”.

In un Juventus-Torino del 1991 vennero espulsi sia Bruno che Policano. Il gol della vittoria bianconera fu di Pierluigi Casiraghi. “I derby con la Juve erano sempre caldi, col Trap e Mondo in panchina. Casiraghi simula, io esplodo e mi danno 8 giornate di squalifica poi ridotte a 5. Nel secondo tempo venne mandato fuori anche Poli, che tagliò il viso di Casiraghi. Il bianconero era un duro così come lo erano Vialli e Aldo Serena. Io comunque devo dire grazie alla Juve, ma il Toro è come me, stesso dna. Anche in Scozia ho fatto due anni bellissimi da calciatore, prima della pandemia ero vicino a tornare agli Hearts come direttore tecnico. Lì si giocava già con una intensità pazzesca: al 70esimo pensavo che la partita fosse finita eppure mancavano ancora 20 minuti”. Oggi Bruno guarda le partite in tv, soprattutto per motivi di lavoro. La sua vera passione è la mountain bike e partecipa alle gare più pesanti in giro per il mondo. “Noi giocavamo contro fenomeni, non dovevi mai farli girare sennò ti puntavano e ti toccava buttarli giù. Oggi è più facile: in due contro uno, uno va in anticipo e l’altro lo copre. Per forza annullano l’avversario! Le regole odierne però sono ridicole, avvantaggiano gli attaccanti. Quando i difensori saltano con le braccia all’indietro mi sembrano dei cotechini avvolti nelle corde”.

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