Al vertice erano convocati 48 Paesi di Europa, Caribe e America Latina. Tutti a Bruxelles per discutere di piani di sviluppo che vanno “dall’idrogeno pulito alle materie prime essenziali, dall’espansione della rete di cavi dati ad alte prestazioni fino alla produzione dei più avanzati vaccini mRna alle materie prime”. Ma nel corso del Celac, durato il 17 e il 18 luglio, diversi capi di Stato hanno deciso di lasciare l’Europa Building, sede del Consiglio europeo: oltre a Giorgia Meloni, se ne sono andati l’olandese Mark Rutte e il francese Emmanuel Macron. E non sono stati gli unici. Il terreno più divisivo è stato l’Ucraina, e l’assenza di una dichiarazione congiunta finale condivisa a causa dell’opposizione del Nicaragua. Dopo un’estenuante trattativa, è stata raggiunta una posizione su Kiev in cui si è espressa “profonda preoccupazione” per la guerra “contro l’Ucraina” ma ai Paesi riuniti a Bruxelles è sfuggita l’unanimità. Ma visto il muro del Nicaragua alla fine il vertice è arrivato alle conclusioni con l’appoggio dei 27 dell’Ue e di 32 su 33 dei Paesi del Celac. E il dossier Ucraina, in ogni caso, ha rischiato di mettere in ombra un vertice destinato a ravvivare le relazioni con l’America Latina, dopo otto anni di attesa e in un momento di grandi evoluzioni sullo scenario geopolitico. Con il blocco europeo che guarda ormai da mesi Oltreoceano per la propria autonomia strategica, cercando di smarcarsi dalla dipendenza dalla Cina.

Rispetto al tema della pace, nel corso della sessione plenaria del summit, è giunto anche il monito dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Dobbiamo dare alle parole il giusto significato che hanno: la parola pace non può essere confusa con la parola invasione. Se qualcuno ritiene di poter confondere queste due parole non si rende conto che un mondo nel quale non dovesse più esistere il diritto internazionale non sarà mai un mondo di pace”, ha avvertito. “Tutti noi vogliamo la pace e la vogliono specialmente gli ucraini, che soffrono terribilmente”, le ha fatto eco la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, sottolineando come i partecipanti al summit siano tenuti insieme dalla “carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale. E’ un sistema di regole che tutti abbiamo a cuore”.

Al summit è sfumata comunque l’idea di convergere nelle conclusioni sulla parola “condanna”. E’ stato fatto un richiamo solo alle singole posizioni nazionali sulla risoluzione Onu scegliendo di non usare espressioni più forti sulla Russia, non menzionata direttamente. Il testo ricorda il “sostegno” all’iniziativa sul grano del Mar Nero e, formulato in maniera più morbida rispetto alla proposta iniziale dell’Ue, ha garantito anche l’appoggio dei Paesi meno propensi alla condanna di Mosca come Cuba e Venezuela. “Non so cosa si debba fare di più”, si è difeso il presidente pro-tempore del Celac Ralph Goncalves (premier di Saint Vincent e Grenadine). “Non potevamo fare del vertice Ue-Celac un vertice sull’Ucraina. Ma è chiaro che l’Ucraina è una questione di grande importanza per l’Europa e per il mondo, così come anche altri conflitti”. “In tutto il mondo c’è un cambiamento” di posizione nei confronti di Mosca, ha rilevato il cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Molti Paesi si sono già posizionati molto chiaramente contro la guerra di aggressione russa” e “altri stanno capendo che la Russia non si sta difendendo, ma ha semplicemente invaso il suo vicino”.

Il vertice, che ora avrà cadenza biennale, ha portato con sé un’agenda di investimenti in oltre 135 progetti sulla transizione verde e digitale su entrambe le sponde dell’Atlantico, con l’Ue che ha annunciato investimenti per 45 miliardi di euro fino al 2027. Il presidente del Consiglio Ue Charles Michel ha espresso soddisfazione per una “dichiarazione ambiziosa” con questioni che vanno dal “cambiamento climatico alla biodiversità, alle diverse sfide legate alla transizione verde, alla transizione digitale”. Per il resto nell’ambito del quadro Ue-Celac sono state concordate le tappe per preparare le elezioni in Venezuela e arrivare alla revoca delle sanzioni. E, nelle conclusioni, è stato fatto riferimento al tema della giustizia riparatoria per l’epoca coloniale, un punto sul quale buona parte dei leader latinoamericani non avrebbero mai sorvolato.

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