Visitai Jenin nel maggio 2002, pochi giorni dopo la strage effettuata all’epoca dal governo israeliano, raccogliendo le sconvolgenti testimonianze dei superstiti che fra l’altro raccontavano dell’esecuzione a freddo di alcuni militari palestinesi catturati. Rimasi colpito da un bambino palestinese che ci disse che da grande avrebbe voluto fare il medico per alleviare le sofferenze dei feriti.

Sono passati oltre vent’anni e non so se quel bambino, nel frattempo divenuto adulto, se sopravvissuto all’occupazione e ai suoi innumerevoli crimini, sia riuscito a realizzare il suo sogno. Certo, anche i medici e il personale sanitario in genere vengono frequentemente colpiti dagli attacchi indiscriminati delle forze israeliane che violano molte norme di diritto internazionale umanitario, come dovrebbe stabilire la Corte penale internazionale sulla quale peraltro sembra essere stato calato un sipario.

Anche la Corte infatti purtroppo applica due pesi e due misure e mentre assume iniziative sicuramente inopportune e unilaterali sulla guerra in Ucraina, sulla Palestina tace e non fa nulla. Eppure se c’è un luogo della Terra dove ha senso lo slogan dell’aggressore e dell’aggredito, questo è proprio la Palestina, dove da oltre settant’anni un popolo invaso, represso, occupato e privato dei suoi diritti più elementari si scontra, praticamente a mani nude, con un aggressore dotato degli armamenti più micidiali.

La Palestina è quindi il luogo simbolico per eccellenza dell’ipocrisia dell’Occidente, oggi in declino netto e inarrestabile anche per la propria scandalosa incapacità di fare, anche solo per sbaglio, qualche cosa di giusto. Basti vedere cosa riescono a dire in Italia, su episodi come la nuova recente strage di Jenin, le forze politiche (praticamente tutte tranne i Cinquestelle) e i mezzi di informazione. La colpa, come sempre, è quella delle vittime, specie se non si rassegnano alla mostruosa oppressione esercitata dalle forze di occupazione che puntano a privarle definitivamente di ogni residua dignità. Se esercitano il diritto alla resistenza, espressamente previsto dalla normativa internazionale anche sotto forma di lotta armata, vengono automaticamente bollati come terroristi. E per i “nostri” media e le forze politiche del “nostro” arco ‘anticostituzionale’, da La Russa a Salvini alla Picierno, una sola vittima israeliana è degna di lamenti e indignazione mentre cento vittime palestinesi non valgono neppure uno starnuto.

Certamente, come in Ucraina, la pace deve essere l’obiettivo cui puntare. E la pace in Palestina, come previsto da decine e decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tutte sistematicamente violate da Israele coll’appoggio degli Stati Uniti e dei suoi zelanti servitori, governo Meloni come sempre in testa, richiede il previo riconoscimento della pari dignità dei due contendenti, premessa necessaria alla loro pacifica convivenza secondo le modalità che essi stessi devono scegliere nel libero esercizio dell’autodeterminazione dei popoli, diritto fondamentale su cui si regge tutto l’ordinamento internazionale.

Ma non c’è nessuna volontà in questo senso da parte delle nazioni occidentali in declino che continuano a tenere bordone a Netanyahu e a un regime che oramai si può definire apertamente fascista, razzista, fondamentalista religioso e che pratica in modo sistematico vari crimini internazionali a partire da quello di apartheid, come denuncia Amnesty International. Si tratta del resto di un regime che anche sul piano interno sta sempre più manifestando tali caratteri deteriori e antigiuridici, come dimostrato dalla crescente rivolta di buona parte della stessa popolazione israeliana ebraica.

Il movimento democratico che si oppone a Netanyahu e ai suoi scherani parafascisti, cui il ministro razzista e fondamentalista Ben Gvir vorrebbe conferire lo status di forze armate legittime istituendo una sua milizia ufficialmente riconosciuta, è però chiamato a intrecciare una necessaria alleanza col popolo palestinese, che sarebbe di grande beneficio anche nella prospettiva, a lungo andare inevitabile, di una pacifica coesistenza tra popoli e individui dotati di pari dignità e uguali diritti, quale che ne sia l’etnia, la religione e la discendenza.

Sul piano internazionale alla colpevole inerzia dell’Occidente fa da contrappunto quella che ritengo la benefica iniziativa della Cina, che anche su questo piano si presenta come la leader naturale e la portavoce di un amplissimo schieramento di Stati, in rappresentanza di oltre quattro quinti dell’umanità, che vuole porre una volta per tutte fine al colonialismo in tutte le sue forme e rilanciare il diritto internazionale all’insegna della dottrina del futuro condiviso dell’umanità teorizzata da Xi Jin Ping.

La resistenza del popolo palestinese, che perde ogni giorno i suoi figli più giovani e migliori ad opera delle forze che esercitano il terrorismo di Stato dell’occupazione militare, merita tutta la nostra attenzione e solidarietà, anche perché senza la giustizia per il popolo palestinese non potremo dar vita al nuovo ordine internazionale basato sulla giustizia e il diritto cui aspirano tutte le persone di buona volontà.

Articolo Precedente

Nato, il lodo Stoltenberg per velocizzare l’adesione di Kiev. Zelensky vorrebbe anche l’invito formale, ma c’è il no di Usa e Germania

next