La protesta che ha coinvolto oltre 700mila persone dopo il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, contrario alla riforma della giustizia, porta Benjamin Netanyahu vicino a un passo indietro. La rivolta nella notte, unita alle “preoccupazioni” degli Stati Uniti e alle dimissioni del console a New York, hanno spinto diversi membri di governo e sostenitori della maggioranza a chiedere una riflessione sulla legge che il primo ministro israeliano vuole approvare a tutti i costi. E con lo sciopero a oltranza nelle università, al quale si sono uniti gli operatori aeroportuali di Tel Aviv e potrebbero farlo i medici degli ospedali e altri settori dei servizi, ha finito per frenare lo stesso Netanyahu.

Pezzi del governo per lo stop – Al termine di una notte convulsa, fatta di riunioni e con l’esercito in “stato di allerta”, e con una nuova manifestazione indetta davanti alla Knesset di Gerusalemme, il primo ministro – secondo numerosi media israeliani – dovrebbe annunciare lo stop alla controversa riforma. Secondo l’emittente televisiva pubblica Kan, il premier avrebbe dovuto parlare alle 11 (le 10 ora italiana) proprio alla Knesset, il parlamento israeliano, dopo aver tenuto colloqui notturni con gli alleati politici che formano il suo governo. Ma all’annuncio è seguito un lungo ritardo e non è chiaro quando il premier annuncerà la sua decisione. Di certo, almeno tre ministri del Likud, il partito guidato da Netanyahu, hanno anticipato il loro sostegno al capo del governo nel caso decidesse di sospendere la riforma giudiziaria. Il primo a farlo è stato il ministro della Cultura e dello Sport, Miki Zohar, che ha dichiarato che pagheranno “a caro prezzo” il fallimento del provvedimento, esprimendo anche la necessità di sostenere il premier se “deciderà di fermare la riforma per evitare la rottura creatasi nella nazione”. La riforma è “necessaria ed essenziale”, ha aggiunto ma “quando la casa prende fuoco non si chiede chi ha ragione, ma si versa acqua e si salvano gli occupanti”. Facendo seguito alle parole di Zohar, il ministro per l’Uguaglianza sociale Amichai Chikli ha suggerito di “disegnare una rinnovata tabella di marcia” e di “rallentare”. Infine, il ministro dell’Economia, Nir Barkat, ha ribadito che “sosterrà il premier nella decisione di fermare e ricalcolare il percorso” perché “lo Stato di Israele è al di sopra di tutto”, pur sottolineando che “la riforma è necessaria e la faremo, ma non a costo di una guerra fratricida”.

L’estrema destra di traverso: “Resa alle violenze” – Ma c’è l’estrema destra a mettersi di traverso, rischiando di mandare in tilt l’esecutivo. Itamar Ben Gvir, leader del partito Potenza ebraica e ministro per la sicurezza nazionale, ha minacciato Netanyahu che farà cadere subito il governo se il premier decidesse di fermare la riforma, riferiscono i media. Ben Gvir ha affermato che il significato di un arresto della riforma sarebbe “una resa di fronte alle violenze nelle strade”. Senza il partito di Ben Gvir, Netanyahu perderebbe la maggioranza alla Knesset. All’alba anche il presidente israeliano Isaac Herzog ha esortato il governo a fermare la revisione giudiziaria, chiedendo almeno di congelarla: “Mi rivolgo al primo ministro, al governo e ai membri della coalizione. Una profonda ansia sta travolgendo la nazione. La sicurezza, l’economia, la società: tutto è minacciato. Gli occhi di tutta la gente di Israele sono rivolti a voi”. E ha quindi continuato: “Per il bene dell’unità del popolo di Israele, per il bene della responsabilità, vi chiedo di fermare immediatamente la legislazione. Mi rivolgo a tutti i leader del partito alla Knesset, coalizione e opposizione come una cosa sola, mettete i cittadini della nazione sopra ogni altra cosa e ci si comporti in modo responsabile e coraggioso senza ulteriori indugi”.

Aeroporti bloccati, verso lo sciopero generale – “Non consentiremo alcun compromesso – hanno sostenuto gli organizzatori delle proteste – che danneggi l’Indipendenza della Corte Suprema”. Gli stessi hanno chiesto che il ministro Gallant, licenziato da Netanyahu, sia riportato alla responsabilità della Difesa. Il leader del sindacato dei dipendenti degli aeroporti israeliani Pinchas Idan ha annunciato in mattinata l’arresto immediato di tutti i decolli dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. E l’Histadrut, il potente sindacato israeliano, ha annunciato che si va verso un sciopero generale: il segretario Arnon Bar-David in una conferenza stampa ha chiesto al premier di bloccare l’iter parlamentare della riforma prima “che sia troppo tardi”: “Sono momenti storici e i lavoratori e gli imprenditori – ha detto – sono spalla a spalla per salvare Israele. Dobbiamo fermare la rivoluzione giudiziaria e la follia”.

Gli Usa preoccupati – Subito dopo il licenziamento di Gallant e l’inizio delle proteste, la Casa Bianca aveva espresso “profonda preoccupazione” per la destituzione e aveva invitato Netanyahu a trovare un “compromesso”. Secondo il Times of Israel, il presidente Joe Biden avrebbe chiamato il primo ministro israeliano per esprimere la propria “preoccupazione per la riforma della giustizia”. E il portavoce per la sicurezza nazionale John Kirby aveva poi confermato l’allerta statunitense per “gli sviluppi in corso in Israele” che “sottolineano ulteriormente l’urgente necessità di un compromesso”.

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