Michelle Causo non è morta solo a Roma, in una periferia dimenticata della capitale e per questo divenuta luogo di degrado. La sua fine non si è consumata solo in un agglomerato di abitazioni senza speranza e senza bellezza, in una porzione oscurata della città che vedrà lo scontro per ora solo anticipato – al Colosseo – tra Musk e Zuckenberg; Michelle non ha ricevuto diciassette coltellate solo all’interno di un alveare di famiglie condannate a urla pesanti e muri sottili. Le vite di tutti alla berlina, il futuro di ognuno, una scommessa da giocare.

Michelle, Misci, come la chiamavano tutti è morta per mano di una dimenticanza ostile e ottusa che è figlia della sua stessa città e nipote di un malsentire della politica che non investe nel risanamento e che non punta sui giovani. Dov’è finita la bellezza, dovremmo chiederci. Quella che salverà il mondo e quella che forse nel quadrilatero di spazio occupato da Michelle e dalla sua realtà non c’è mai stata.

Parliamo, noi cronisti, del quartiere Zen di Palermo, di Librino a Catania, di Scampia a Napoli e da qualche tempo – vivaddio – anche di Barra. Raccontiamo le storie belle che germogliano su questi sassi aridi ma non parliamo mai, o troppo poco, delle polveriere a rischio esplosione che sono radicate nella capitale. Per non parlare di quelle di Milano. Un potenziale di rischio infinito messo in secondo piano dalle magnifiche sorti e progressive di città locomotive che meglio non disturbare nella loro corsa l’una al risanamento del turismo e l’altra del pil intero o quasi di un Paese.

Un giorno i ragazzi, quegli stessi che oggi apprendono le notizie dai social o seguendo distrattamente un tg, dovranno farsi carico del fatto che per la sola fortuna di vivere in quartieri puliti e decorosi non potranno né dovranno dimenticare gli spazi suburbani che a pochi chilometri da loro possono determinare – fatalmente o no – l’esito di una vita. Magari di un loro coetaneo. Perché i luoghi li determinano eccome i destini. Gli ambienti lo condizionano eccome il futuro.

Non c’è bisogno (solo) di ingegneri, fisici o matematici per il fatto che il mondo va nel senso dei numeri e delle possibilità di lavoro. C’è bisogno di architetti, e che non si dica che in Italia l’architetto non si può fare. Si può fare eccome. Anzi, si deve fare. Perché solo una mente che coniughi bellezza e arte può restituire alle vite il decoro con cui e in cui vanno vissute. La bellezza va vissuta, non va solo ammirata in un museo o in un monumento. Dentro alla bellezza bisogna ballarci, a ritmo di musica e di bei locali. Bar, caffetterie, edicole. Non devono mai mancare in un luogo bello.

Roma stessa ospita, lontani e diversi, quartieri che in mano a visionari hanno determinato modelli di socialità che li hanno resi diversi e migliori da loro vicini di linea d’aria. La Garbatella, ad esempio, che ha consentito di sviluppare l’idea di socialità condivisa e lottizzata; la zona del Tuscolano tra via Lemonia e viale Spartaco, dove un’acuta opera di restituzione degli spazi verdi interni ai condomini consegnava alle case popolari il decoro di affacci piacevoli. Significa che vivere la casa e i suoi addentellati quando non hai altre possibilità non è una tortura. Pare poco?

Resto con il malessere che Michelle sia morta non solo per mano di un coetaneo nato e cresciuto anche lui, come lei, in un mondo che non lo ha aiutato a comprendere il valore della vita, ma anche per colpa di istituzioni matrigne che hanno dimenticato quei figli di un dio minore, parecchio minore.

E se la Francia si è riunita attorno a un sindaco per significare che la società laica e civile non ci sta a essere coinvolta senza appello nella barbarie, il sindaco di Roma bene ha fatto a partecipare alla fiaccolata a Primavalle in memoria della diciassettenne. Se non altro per dire che una morte come quella di Michelle non può rimanere senza il senso di colpa delle istituzioni. Esiste una responsabilità, impercettibile quanto solida e tangibile di cui ci si deve far carico anche a nome di chi ha amministrato pria: è il non aver fatto nulla per operare un riscatto visionario delle periferie più deboli. Come se un genitore si dimenticasse o non desse da mangiare a un figlio malato, più fragile, più vulnerabile.

La Francia oggi come sempre (non su tutto) ci faccia da faro: se si lascia che i luoghi di emarginazione diventino segmenti di rancore, la rabbia esploderà alla prima scintilla. E la morte di un ragazzo o di una ragazza, sia essa per mano di un poliziotto o di un coetaneo, sarà solo un pretesto per una detonazione in grado di illuminare a giorno tutto. Ma a quel punto sarà ormai troppo tardi. Come per Michelle, divenuta suo malgrado figlia di tutti ma vittima del disinteresse delle istituzioni.

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