La Cina “sostiene la Russia nel mantenere la stabilità nazionale e raggiungere lo sviluppo e la prosperità”. A oltre 24 ore dall’ammutinamento di Wagner Group, Pechino ha confermato il proprio supporto a Mosca. La svolta è avvenuta dopo l’annuncio di un incontro avvenuto domenica tra il ministro degli Esteri cinese Qin Gang e il viceministro degli Esteri russo Andrey Rudenko. Un’interlocuzione forse non strettamente legata agli eventi di questi giorni, ma pur sempre simbolica per le tempistiche e le parole scelte. Pechino supporta Mosca “in qualità di vicino amichevole e partner strategico globale di coordinamento nella nuova era”, ha dichiarato il dicastero cinese. Il gigante asiatico ha i suoi problemi con Wagner, una presenza destabilizzante che si è già rivelata un pericolo per gli interessi cinesi in Africa. Yevgeny Prigozhin, dal canto suo, negli scorsi mesi aveva accolto con scetticismo l’offerta di una “mediazione” cinese in Ucraina.

Eppure, anche al netto del weekend festivo, il prolungato silenzio di Pechino era parso mascherare un calcolato attendismo davanti alla possibile debacle del semi-alleato. D’altronde, il tentativo di negoziare tra Mosca e Kiev – con tanto di tour europeo dell’inviato cinese per l’Eurasia – aveva segnalato tra le righe la volontà di risolvere una situazione che ha gravemente danneggiato la reputazione di Pechino in Occidente. Prendendo le distanze da quanto accaduto, Pechino si è affrettato a definire la rivolta di Prigozhin “una questione interna”. Ed è indicativo che il ministero degli Esteri cinese non abbia nominato mai esplicitamente l’ammutinamento, a cui invece il comunicato russo dell’incontro con Qin fa riferimento con la formula “gli eventi del 24 giugno”.

In realtà, la defezione di Prigozhin e dei suoi uomini riguarda la Cina molto da vicino. Il gigante asiatico condivide con la Federazione russa oltre 4mila chilometri di confine. Un vuoto di potere al di là della frontiera costituisce una potenziale minaccia per Pechino, ossessionato dalla stabilità. Chi assumerà la guida del Cremlino? L’arrivo di un leader meno allineato – o persino vicino a Washington – rappresenterebbe una minaccia per la repubblica popolare, che con Putin condivide innanzitutto l’ambizione a riformare un ordine mondiale da decenni a trazione americana.

Si affaccia inoltre l’eventualità di un effetto domino nello spazio ex sovietico, già scosso da spinte centrifughe anti-russe; specie in Asia Centrale dove la Cina è tornata recentemente protagonista proprio sfruttando la distrazione di Mosca in Ucraina. Ma è la stabilità interna il vero cruccio di Pechino: dal 2015 Xi ha avviato una ristrutturazione dell’esercito – la più massiccia dall’epoca di Mao – tesa a scardinare le sacche di potere. Obiettivo ottenuto con uguale successo negli apparati della Pubblica Sicurezza grazie a un’agguerrita campagna anticorruzione. Al suo terzo mandato, il presidente cinese non sembra più avere rivali. Ma la parabola di Prigozhin probabilmente darà nuovo slancio alla stretta securitaria di Xi.

D’altronde, supportare un leader indebolito, qual’è oggi Putin, potrebbe compromettere le scelte dell’establishment comunista agli occhi dell’opinione pubblica. Su Weibo gli hashtag relativi al “tradimento di Wagner” hanno totalizzato almeno 2,4 miliardi di visualizzazioni. Mentre per molti internauti la rivolta è il prodotto di un complotto americano, qualcuno non ha esitato a contestare velatamente la scelta di spalleggiare un Putin in vistoso affanno. La blogosfera cinese ha paragonato il capo del Cremlino a un imperatore decaduto; espediente che ha permesso agli utenti di aggirare la censura facendo uso di citazioni storiche.

Per il momento la risposta delle autorità cinesi tiene fede all’abituale “amicizia senza limiti”. Cercando di minimizzare l’incidente, l’emittente nazionale cinese CCTV ha continuato a trasmettere da Mosca immagini rassicuranti di strade e piazze tranquille. Secondo l’agenzia di stampa Xinhua, il presidente russo ha mostrato “saggezza” “concedendo a Prigozhin e alle forze ribelli un’amnistia de facto. Così Putin ha creato un prerequisito fondamentale per una risoluzione pacifica della crisi”. “Nonostante i media occidentali affermino che la rivolta di Wagner espone la debolezza dell’amministrazione Putin, la ribellione è stata sedata in così poco tempo che Putin continuerà a mantenere una forte capacità di deterrenza e aumenterà persino la sua autorità”, commenta il tabloid nazionalista Global Times.

A riprova della complessità del tema (e della postura cinese), anche sulla stampa governativa non è mancata qualche critica obliqua. Xu Wenhong, esperto di Russia presso l’Accademia cinese delle scienze sociali, osserva sul China Daily come “sebbene la crisi sia stata risolta in superficie, l’ammutinamento del gruppo Wagner rivela che i problemi sociali, economici e politici sono aumentati dal conflitto russo-ucraino”. Un conflitto che la Cina spera in cuor suo finisca presto, ma si ostina a non condannare apertamente.

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