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Michela Murgia: “Io sono arrivata in ospedale in fin di vita, la diagnosi di tumore fu una buona notizia. Ultimo desiderio? Incontrare i BTS”

“Quando è arrivata la diagnosi del tumore - racconta la scrittrice in una lunga intervista a Vanity Fair - era una buona notizia, perché avevo ancora tempo, perché non sarei morta in terapia intensiva"

di Simona Griggio

“Io sono arrivata in ospedale in fin di vita. In ambulanza, in pronto soccorso e poi subito in sala operatoria. Era il secondo lockdown, Capodanno del 2021. Ero in condizioni di semi incoscienza, convinta di morire e coi medici convinti che sarei morta”. Invece no. La scrittrice Michela Murgia si risveglia. Ed è lì, in quel momento in cui apre di nuovo gli occhi sulle cose e su se stessa, che scopre di avere un tumore grave. “Quando è arrivata la diagnosi del tumore – racconta in una lunga intervista a Vanity Fair – era una buona notizia, perché avevo ancora tempo, perché non sarei morta in terapia intensiva”.

Svelarsi, dalle più profonde e intime sensazioni di oggi, di fronte a una malattia che non le lascia scampo, fino al suo passato di ‘bestiolina felice’ ma con un padre padrone che non ha mai perdonato, non deve essere stato facile. Diversi i momenti bui e tante le gioie: il primo amore, il legame con i figli, la costruzione di una famiglia queer, la sua idea di felicità. Il numero speciale del magazine in questa occasione da lei stessa diretto, la ritrae a tutto tondo, come una donna senza paura. Che si apre senza reticenze. Ed è sempre di buonumore nonostante tutto. “Da un lato l’amore che sperimento della mia famiglia è una condizione di beatitudine forte – spiega – io mi sveglio pensando: che culo! O meglio: ci sono dei momenti di ateismo in cui dico che culo e momenti in cui dico grazie Dio! È un dono fantastico, sto facendo le cose che volevo, sto amando le persone che ho voluto, ho scritto i libri che ho voluto“.

Fra gli amori c’è la famiglia. Ma una famiglia non convenzionale, ibrida, anzi queer, come lei ama definirla: “L’idea della famiglia queer è quella di fondare le sue relazioni sullo ius voluntatis, sul diritto della volontà. Perché la volontà deve contare meno del sangue?”. Da chi è composta la famiglia di Murgia? “Non voglio nominare tutti perché non tutti hanno la stessa attitudine all’esposizione”, risponde. E poi specifica: “Ci sono quattro figli, ciascuno di loro si crede figlio unico rispetto a me. Sono entrati nella mia vita in tempi diversi. Da Raphael, il più piccolo, agli altri. Quando ha iniziato a costruire la sua famiglia queer? “E’ successo. E’ cominciato dai figli. Alessandro che ho incontrato quando aveva 16 anni. E Francesco che ne aveva 18. Ti chiedono loro, ti dicono fammi stare”.

I rapporti familiari basati sulla volontà di stare mutano, cambiano nel tempio, si invertono. Per la scrittrice e attivista la queerness è la “pratica della soglia”, si basa su relazioni di soglia, è uno spazio da cui è possibile entrare e uscire continuamente. E fa l’esempio di Alessandro: “Io non so più se chiamarlo figlio. Oggi è un amico. Ma per molti versi un maestro. Dentro questa famiglia tutto è cambiato, i ruoli ruotano. Nella famiglia tradizionale questo non avviene perché è il sangue che li determina”. bIl ricordo corre indietro, alla sua infanzia e all’immagine del padre, di cui Murgia ha parlato spesso come di un uomo violento: “Mio padre, ovvero la persona che avrebbe dovuto prendersi cura di me, ha tradito il suo mandato”, rivela. E aggiunge: “Sono stata molto fortunata perché ho trovato un altro padre, ciò mio zio”. Insomma, quello dei genitori è un ruolo che può non coincidere con le persone che hanno generato. La coppia tradizionale? Su questo punto Murgia è molto disincantata: “Il modello coppia regge finchè non succede un vero casino: quando uno dei due si ammala, o va in depressione, o perde il posto, o ha una crisi l’altra persona deve reggere tutto il peso di questo squilibrio. A volte può farlo, altre no”.

Quindi? “La queer family è un modo di gestire meglio il peso di tutte queste cose”. Ecco, poi Murgia racconta di questi figli che hanno scelto di stare: “Quando siamo partiti io e il mio futuro marito Lorenzo per l’Orient Express, la sera prima siamo andati da mio figlio Raphael che vive a Vicenza. Raphael ha cucinato per me e durante la cena gli ho detto: questa è la situazione. Io ho le metastasi già al cervello”. Il suo desiderio espresso è stato di stare tutti e quattro insieme per un bel po’ durante l’estate, per dargli modo di conoscerla meglio. “Molto volte la felicità ti passa accanto e tu non capisci che quello è un momento felice”. Murgia si dice fortunata ad avere avuto un lavoro che le ha permesso di capire che il tempo che stava vivendo era felice. E conclude: “Quanti possono dire ‘Tutto quello che volevo fare, l’ho fatto’? Se oggi mi dicessero ‘Cos’è che vuoi ancora fare?’ L’ultima cosa è andare in Corea del Sud a incontrare i Bts (fra gli artisti più seguiti in Corea del Sud, ndr). Probabilmente non ci andrò, ma i Bts verranno a me. Non si può sapere. È l’ultimo desiderio dei desideri, come nella Storia infinita quando ti rimane l’ultimo da esprimere e non trovi più la strada per tornare a casa. È forse giusto che rimanga non soddisfatto“.

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