In un mondo tutto digitale come il crypto, le ricerche degli utenti Google su “Bitcoin” sono al minimo da due anni: chiaro indicatore, passata la fase della mania collettiva, di un trend ineluttabilmente in calo. Chiunque bazzichi le monete digitali conferma che l’interesse non è alto come prima. Molti di coloro che ci credevano, o i tantissimi che hanno speculato facendo una puntata al casinò dei soldi facili con token, coin, DeFi eccetera, sono ormai fuori e non torneranno. Soprattutto dopo il bagno di sangue dell’anno scorso, con i prezzi delle crypto in crollo mediamente del 70 per cento. Il mercato, già molto scosso, cerca ora di stare in piedi dopo la tremenda doppietta, gancio e montante, inferta giorni fa dalla Sec (Securities and Exchange Commission) contro due dei colossi del settore, Binance e Coinbase. Il fragile ecosistema delle monete digitali, terremotato dallo scandalo FTX di Sam Bankman-Fried, si è così raggelato.

L’ente di vigilanza statunitense ha fatto causa a Binance e Coinbase sostenendo, nel caso più eclatante, che gestiscono titoli negoziabili in modo illegale. Le valute digitali, cioè, dovrebbero essere trattate alla stregua dei principali strumenti finanziari, come azioni e bond. La doppia azione legale segnala l’escalation della campagna Sec volta a dare l’altolà a un settore che per troppo tempo ha operato in una zona normativa grigia. Sarà un lungo e complicato contenzioso che potrebbe richiedere mesi, se non anni, per essere risolto. Nel frattempo, gli investitori in criptovalute (quelli non scappati) si ritrovano in un limbo; la speculazione ha perso l’abbrivio e l’arroganza, e il sentiment resterà negativo.

I reati contestati dalla Sec sono tanti. In sostanza, contro Binance l’accusa è agire sul mercato senza licenza come broker e piattaforma non registrata; contro Coindesk di aver messo su una “rete di inganni” per eludere le leggi federali sui prodotti finanziari, nonché di fare trading su titoli non regolamentati. La domanda rimane: è sicuro comprare e vendere monete digitali? I rigoristi dicono no, perché scambiando criptovalute “si commettono reati”. Senza contare il fatto che moltissime società sono gestite in modo piratesco, soldi sifonati a gogò per comprare ville, aerei e dirottare tutto nei centri off-shore. Coinbase si difende sostenendo che la Sec aveva già approvato il suo modello di business quando, nel 2021, diede il via libera alla quotazione a Wall Street. Tesi, in effetti, difficile da contestare. Ecco perché tutti vogliono chiarezza normativa.

Il comparto “dovrebbe poter prosperare” (un verbo esagerato?) anche dopo il pesante giro di vite messo in atto dalla Sec, stando alle dichiarazioni di manager di alcune blockchain in una recente audizione al Congresso. L’alert ai politici è chiaro: se esagerate e ci regolamentate troppo, l’intero business fuggirà all’estero. Ma il poliziotto cripto scettico, il presidente della Sec Gary Gensler che ha denunciato Binance e Coinbase, sembra molto poco impressionato. “Non abbiamo bisogno di più valuta digitale” ha detto. “Abbiamo già una valuta digitale, si chiama dollaro. Si chiama euro o si chiama yen; sono tutti digitali in questo momento”. Ecco quindi la chiave di lettura: banche centrali e valute emesse dai governi di stati nazionali contro il mercato libero e selvaggio delle monete virtuali.

L’attacco giudiziario dell’amministrazione Biden potrebbe costringere democratici e repubblicani, divisi su quasi tutto, ad agire stavolta legiferando e dando norme certe al comparto crypto. Il che vorrebbe dire irregimentare, uccidere il baby. Resta però il dubbio burocratico: le monete virtuali sono qualcosa di veramente nuovo, che necessita di un regime normativo speciale, o semplicemente sono versioni digitali di strumenti finanziari pre esistenti che la Sec già regolamenta? Interessante notare che Bitcoin, la prima e più popolare criptovaluta al mondo, nei giorni successivi al blitz è rimasta abbastanza stabile, sui 26.000 dollari (crollata comunque di due terzi dal top del 2022 a quota 69.000) mentre quasi tutti gli altri coin hanno subito pesanti ribassi. La spiegazione? Bitcoin potrebbe essere trattata da “merce”, cioè una commodity, quindi ricadrebbe sotto il controllo non della Sec ma della Commodity Futures Trading Commission. Confusione sovrana, quindi.

In definitiva, se è vero che il mondo si divide tra chi nelle crisi vede un’opportunità e chi invece crede vi sia un rischio troppo grande da affrontare, la proliferazione selvaggia e senza controlli di monete digitali – oggi oltre 25.000, con una capitalizzazione totale di 940 miliardi di dollari (di cui quasi la metà su Bitcoin) – non prelude a niente di buono. Si tratta di un angolo ancora piccolo del mercato finanziario, poco e mal frequentato, adesso anche in profonda crisi dopo le denunce Sec, soprattutto se raffrontato al vasto universo da 133 trilioni di dollari del mercato obbligazionario.

Eppure è una giungla da disboscare. Perché truffe e ruberie, da peggior mercato nero in mano a criminali, sono rampanti, illudono migliaia di persone e fanno perdere soldi. Nate in opposizione alle valute emesse dalle banche centrali, le crypto finiranno per fare i conti con il potere contro cui si ribellano.

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