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I delitti del Dams, 40 anni fa l’omicidio di Francesca Alinovi. C’è un colpevole ma ancora molti misteri: il dettaglio più inquietante? La scritta in bagno

Al tragico epilogo di Francesca Alinovi si aggiungono altri tre delitti in otto mesi con un unico tratto comune: le vittime sono tutte del Dams per cui nasce l’espressione i “Delitti del Dams”

di Alessandra De Vita

Bologna, 15 giugno 1983. Sono quasi le sette di sera. Nella centralissima via del Riccio, un vicolo stretto tra le case che corre tra via Barberia e via Saragozza, c’è una scala dei vigili del fuoco appoggiata al civico 7 che entrano dalla finestra in un’abitazione al secondo piano. Li ha chiamati Marcello Jori, un amico della donna che vive in quel piccolo appartamento, allarmato per non averla vista né sentita negli ultimi tre giorni. Avrebbero dovuto allestire insieme una mostra ma lei non risponde al telefono e nemmeno al citofono. E ha fatto bene a preoccuparsi: sulla moquette in soggiorno giace riverso in una pozza di sangue il corpo di Francesca Alinovi. Di fianco, c’è un fiore di plastica.

Il delitto – Francesca è morta tre giorni prima, tra le 17 e le 24 di una domenica di giugno. Indossa gli stessi abiti di quel giorno, maglietta a righe e pantaloni bianchi. Ha le mani sul volto come a proteggersi e due cuscini sul capo. Fino alle cinque del pomeriggio fa e riceve telefonate, poi il silenzio. Sul luogo della vittima arrivano tutti: la scientifica, i carabinieri, il medico legale e i magistrati. Gli amici della vittima e i fotografi. La donna è stata colpita da 47 coltellate, piccolissime, inferte con un taglierino forse, non più grandi di un centimetro e tutte sul lato destro del corpo. Non sarebbero state letali tranne l’ultima al collo che le ha reciso la giugulare: è morta soffocata dal suo sangue. Nessuna effrazione, nessun segno di lotta e nulla è stato portato via dall’appartamento. Nel bagno compare una scritta in inglese, sgrammaticata: “You’re Not Alone Any way”, che tradotto alla lettera sta per: non sarai mai sola, comunque. Ma nel gergo newyorkese significa: ti ho fregato. Nel bagno anche un paio di Ray-Ban con una lente sfilata, ma non sono della vittima.

La vittima – Francesca è bella, ha talento, ha tutto. Classe ’48, nata a Piacenza. È una ricercatrice del Dams, il primo corso di laurea in Italia dedicato alle arti dello spettacolo fortemente voluto da Umberto Eco. È assistente di Renato Barilli, docente del dipartimento di Arti Visive e ormai icona sacra della critica d’arte italiana. Francesca è anche lei critica d’avanguardia. La prima in Italia a studiare la Street Art. Scrive per Domus e altre riviste d’arte di prestigio. Vola spesso a New York dove si fa fotografare con Basquiat e incontra Keith Haring che porta poi con sé in Italia. Lui al suo omicidio dedicherà un dipinto. Resta affascinata dai graffiti del Bronx. È attiva anche al fianco delle istituzioni, cura le Settimane Internazionali della Performance gestite dall’assessorato alla cultura di Bologna. Nei suoi ultimi anni diventa portavoce dell’Enfatismo, un movimento artistico nato intorno alla galleria Neon di Bologna e di cui scrive il manifesto programmatico. È una corrente che segue la scia del postmoderno riunendo giovanissimi performer, fotografi e musicisti di talento. Nel 1984, un anno dopo la sua morte, la Galleria d’Arte Moderna di Bologna realizza su suo progetto la mostra Arte di frontiera: New York graffiti. Frequenta ambienti poco allineati, personaggi bizzarri tra cui un certo “turco” che si dice fosse il suo pusher. Giravano strane voci a Bologna in quegli anni sull’autore del truce delitto per cui è stato condannato in via definitiva un suo allievo, Francesco Ciancabilla. Francesca Alinovi ha 35 anni ma ha tutto l’aspetto di un adolescente fragile e inquieta: capelli neri e dritti sulla testa, stile dark, borchie e giubbetti di pelle. Chi ha frequentato il Dams in quegli anni la ricorda così: “Francesca aveva la sperimentazione tatuata, brillava di luce propria. Le sue non erano lezioni ma conferenze. Aveva eleganza intellettuale e tanta energia artistica. Brillava di luce propria, quando attraversava Piazza Verdi la gente si voltava tutta, era impossibile non notarla”, ci racconta Pietro Panebianco. “Fu uno shock per la città. Non ci aspettavamo un delitto così efferato nell’ambiente universitario”.

Il colpevole – Le indagini si concentrano sul suo cerchio più privato popolato da quella stessa multiforme umanità che popola i porticati di via Zamboni in quegli anni. Ma è su un’unica persona che si addensano i sospetti, Francesco Ciancabilla, un suo allievo di 12 anni più giovane. È un giovane pittore 23enne di Pescara, studente di Estetica dell’Arte nel corso dell’Alinovi. Francesca lo sta lanciando. Bello e dannato, aggressivo. Come molti in quegli anni a Bologna, ha una dipendenza dall’eroina. Stanno sempre insieme, come emerge da molte testimonianze. Hanno un rapporto strano, tormentato e indefinito. “Sono innamorata di Francesco, il sosia di me stessa”, scriveva lei nei suoi diari. E poi: “Non lo vedo più, è una cosa destinata a finire anzi mai iniziata. Sono perdutamente innamorata, sono infelice. Io che amo e non posso essere riamata”. Si vedono spesso litigare in giro. Lui dirà alla conduttrice Franca Leosini di non aver mai saputo di questo sentimento se non dalle pagine del suo diario dopo la morte. Si vedono in giro spesso litigare. Racconta alla polizia di avere trascorso il pomeriggio del 12 giugno con Francesca, aggiungendo di avere fatto uso di cocaina. Dice di essere andato via alle 19.30 e di aver preso il treno per Pescara. Conferma il suo alibi una ragazza che ha incontrato in stazione. Ma gli inquirenti lo accusano perché risalgono, al minuto esatto della morte della donna con una perizia sul suo orologio, un Rolex da carica a polso che segnala le 18,12 come l’istante del suo ultimo gesto vitale. Il 3 gennaio 1985 si apre il processo contro di lui e si chiude con l’assoluzione ma la corte d’appello ribalta la sentenza e lo condanna a 15 anni per l’omicidio ma è un processo del tutto indiziario che non si basa su prove certe né su una confessione ma solo su indizi. La corte di Cassazione conferma la condanna ma riduce la pena a 10 anni ma intanto lui è fuggito tre anni prima in Spagna dove è latitante. Vive sotto falsso nome a Madrid dove resta fino al ‘97 quando la Digos di Bologna lo trova e lo arresta. Sconta la sua pena in Italia ma continua a proclamarsi innocente, dal 2006 è libero. “Io ero al primo anno al tempo dell’omicidio”, racconta Massimo Balloi. “Conoscevo lui che bazzicava spesso in Piazza Verdi. Lei era una di noi, vestiva punk, la ammiravamo. Era la preferita di Barilli. Quando giravano per locali, Francesca e Francesco erano sempre separati. Mai visti amoreggiare ma ricordo di un loro litigio ad una festa al Pilastro. Girava tanta droga in quei giorni, ricordo”. Oggi, Ciancabilla è tornato a Pescara dove continua a dipingere con lo pseudonimo Frisco. In una delle sue mostre ha dedicato un’opera alla Alinovi.

La Città – Bologna è stato il primo modello europeo di convivenza tra studenti, migranti e militari del Sud. C’era convivenza multiculturale. C’era stata la bomba alla stazione e le morti dell’eversione politica. Francesco Lorusso, Radio Alice. Ma le morti degli anni di piombo nel 1983 sono finite per lasciare spazio a quelle dell’edonismo di quegli anni, tragedie più private, intime, e che porteranno alla follia seminata dalla Uno Bianca per le strade del Pilastro. Francesco Lorusso e le morti dell’eversione politica. Ma il contesto è ancora quello degli anni ’70. C’è un approccio libertario per le strade della città, girano ragazzi eccentrici, molta droga, poca disciplina. Bologna è un villaggio globale a cielo aperto. Dalle pagine del suo diario, Francesca Alinovi sembra evocare il suo destino: “Si può anche morire all’improvviso e a qualsiasi ora. La vita del Mondo continua. Quando morirò e come o sarò eternamente giovane?”.

I dubbi – C’è una verità giudiziaria che consegna alla storia Ciancabilla come il suo assassino m qualcosa non torna e sono queste discrepanze che hanno diviso l’italia, un po’ come accade oggi per la Strage di Erba, in colpevolisti e innocentisti. Ci sono tracce di sangue su un interruttore ma all’ora in cui Francesco va via per prendere il treno non c’è ragione di accendere la luce, il delitto deve essere avvenuto più tardi di quanto stabilito dai periti. E l’assassino avrebbe dovuto essersi sporcato il vestito di sangue ma l’amica di Ciancabilla che lo aspetta in stazione dichiara che non c’era straccia di sangue sui suoi vestiti. Riguardo al Rolex, sembra che nessuno di questi orologi raggiunga il cento per cento della carica: se fosse stato carico al 96%, lo spostamento in avanti della morte sarebbe di ben due ore. E poi, il dettaglio più inquietante di tutti, quella scritta sul bagno. Due amici che hanno dormito da Francesca il sabato prima che venisse uccisa affermano che non c’era e la perizia calligrafica esclude sia Ciancabilla che Alinovi come autori di quel gesto. Quella scritta è di un altro conoscente di Francesca ma ha un alibi che lo esclude dalle indagini. E poi che paio di occhiali, Ray-Ban ritrovati nel bagno: non si è mai saputo a chi appartenessero. Strane conoscenze compaiono nel diario in cui Francesca scrive: “Maledetti gli uomini per le violenze psicologiche che esercitano sulle donne, per la paura archetipa infinita che suscitano nella loro psiche. Maledetti per la loro volgarità truce e immonda. Faccio il mio testamento di amore e di morte”. In quella strana città Bologna può succedere davvero di tutto.

Il serial killer del Dams – Al tragico epilogo di Francesca Alinovi si aggiungono altri tre delitti in otto mesi con un unico tratto comune: le vittime sono tutte del Dams per cui nasce l’espressione i “Delitti del Dams”. Prima di Francesca, il 30 dicembre 1982, il 26 enne Angelo Fabbri, uno degli studenti preferiti di Umberto Eco viene ritrovato nei boschi bolognesi, ucciso da 12 pugnalate alle spalle. Un mese dopo il delitto Alinovi in Calabria viene uccisa Liviana Rossi, studentessa del Dams. A dicembre, un’altra “damsiana”, Leonarda Polvani, scompare dal garage di casa sua e viene ritrovata con un laccio intorno al collo, seminuda, in una grotta appena fuori Bologna, uccisa da un colpo di pistola. Inizia ad aleggiare un’ipotesi su un possibile mostro del Dams e sembrò davvero credibile considerato che in quegli anni, a Bologna, quella città crocevia che ne racchiude tante, poteva davvero accadere di tutto.

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