Negazionismo climatico e opposizione alle politiche energetiche verdi saranno al centro dei programmi di molti partiti di destra nelle elezioni europee del 2024.

Non era certo prevedibile, prima della pandemia e della guerra in Ucraina, che l’Ue rallentasse il suo cammino da apripista dell’abbandono dei fossili. Dopo la prima svolta, nota come 20/20/20 (il “pacchetto clima-energia 20-20-20” varato dall’Unione Europea nel 2014) e il successivo programma Next Generation EU corroborato dal REPowerEU (approvati dopo il 2020 senza significative opposizioni), il percorso della decarbonizzazione sta incontrando ostacoli non previsti. Non tanto per la scontata ostilità delle “Big Oil”, quanto per la presa di distanza di forze di destra emergenti, che si caratterizzano, oltre che per l’arretramento sul fronte sociale, anche per un comportamento negazionista riguardo al cambiamento climatico. La loro è, in particolare, una dichiarata resistenza contro la mobilità elettrica e la penetrazione inarrestabile delle rinnovabili nel mix energetico di nazioni in cui cresce la loro rappresentanza. Goetz Kubitschek, ideologo neonazista, definisce addirittura gli ambientalisti un “nemico antropologicoda contrastare “concettualmente”.

Molto ha a che fare con una ripresa del nazionalismo in Europa, che induce a prese di posizione politiche di attacco alla scienza. Un insieme di discipline che validano su scala mondiale le emergenze in corso proponendo soluzioni che antepongono la salvezza della biosfera – cioè della maggioranza dell’umanità – agli equilibri geopolitici – che favoriscono la potenza delle armi e dell’economia di singoli blocchi. Non deve sembrare un caso che, ad esempio, la polemica tra scienziati italiani di chiara fama ed esponenti del nostro governo si sia fatta più insistente sulle due grandi emergenze che segnano il tempo attuale: la guerra e il clima (Rovelli, Pasini, Balzani e i 300 ricercatori che hanno inviato alle istituzioni un documento sull’origine antropica del cambio climatico).

Va considerato che gli interessi che collegano grande capitale e orientamento politico antiambientalista vengono portati alla luce sotto forme e narrazioni nuove rispetto al passato. Si parte dal sostenere la necessità di indipendenza energetica da potenze ostili e ricattatrici. Si prova, di seguito, a convincere che un orizzonte del 100% di fonti rinnovabili territoriali non sia praticabile perché richiederebbe di attenersi ad un criterio sociale “scomodo” di sufficienza nell’organizzazione degli stili di vita. Si conclude, pertanto, che il benessere della popolazione (in ovvia coincidenza con la massimizzazione dei profitti per le imprese), verrebbe assicurato solo con il ricorso ad ulteriore combustione di gas integrata da una disseminazione territoriale di “nucleare pulito”, sotto forma di grandi e piccoli reattori.

E qui il ragionamento si inceppa. Una pala eolica o un pannello solare hanno il loro impatto e si portano con sé un po’ di problemi, ma sicuramente non quelli di ripetere catastrofi come quelle di Chernobyl o Fukushima. Inoltre, sarà pur chiaro che il tempo per continuare a vulnerare con emissioni climalteranti (metano) la nostra atmosfera viene ormai a mancare e che la guerra in Ucraina, tra tante altre cose, ha scoperchiato l’estrema pericolosità degli impianti del “nucleare civile” in situazioni di stress e di conflitto. Ci sono legami così indissolubili tra il gas e i conflitti bellici, tra l’atomo “di pace” e quello “di guerra”, da prendere in considerazione una dimensione più ampia di quella strettamente nazionale.

Per tante ragioni, quindi, non si può restare indifferenti al fatto che quanto detto dal ministro Pichetto Fratin: “l’Italia per la conoscenza che ha rimane nel nucleare, nella ricerca e nella sperimentazione”, abbia poi dato seguito, neanche due mesi dopo, all’approvazione alla Camera di una mozione che impegna il governo “a inserire il nucleare nel mix energetico italiano e a partecipare a iniziative in Europa e alla produzione extraterritoriale, al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia e di valutare l’opportunità di inserire l’atomo nel mix energetico nazionale quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”. Si fa riferimento forse alla fusione o ai piccoli reattori modulari (SMR: Small Modular Reactor) che non esistono, anche dopo che la premier Giorgia Meloni ha affermato che “l’atteggiamento del governo rimane pragmatico, ispirato al principio di neutralità tecnologica”.

Il fatto è che l’interesse per l’alleanza nucleare a guida francese acquista slancio in Ue: senza clamore, il governo ha sottoscritto insieme ad altri Paesi dell’Ue (più il Regno Unito) un patto per il rilancio del nucleare in Europa, chiedendo che venga “sdoganato” come strumento nella lotta contro la crisi climatica. Sedici paesi europei (Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Svezia, Italia e Regno Unito) che partecipano all'”alleanza nucleare” prepareranno una tabella di marcia per sviluppare un’industria nucleare europea integrata che raggiunga 150 GW di capacità di energia nucleare nel mix elettrico dell’Ue entro il 2050.

La volontà della nuova maggioranza di riaprire il dossier nucleare anche in Italia è chiara e questo mette in bieca luce il tema del blocco delle rinnovabili e le responsabilità delle istituzioni (in primis il governo ma in diversi casi anche Regioni e sovrintendenze) nel ritardarne il lancio. Occorre presa di coscienza il più ampia e generale, a cominciare da subito e ad estendersi nel tempo.

Al via il 9 e 10 giugno il weekend di mobilitazione organizzato nella Penisola da oltre 20 associazioni, movimenti ecologisti e studenteschi, con modalità provocatorie, ironiche e comunicative, sfruttando in maniera il più possibile scenografica la presenza di pannelli solari e pale eoliche (simboliche, di cartone) nelle piazze e strade antistanti le sedi decisionali per sostenere lo sviluppo delle fonti pulite oggi frenate da burocrazia, amministrazioni locali e regionali, sovrintendenze, comitati Nimby e Nimto e, soprattutto interessi legati alle fonti fossili e coperti da un intollerabile negazionismo

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