Nella migliore tradizione della realpolitik, il presidente dell’Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev, è stato accolto con tutti gli onori in Germania, solo due giorni dopo aver incassato l’approvazione di modifiche costituzionali che di fatto lo hanno reso leader a vita del suo Paese. A fine aprile si è infatti tenuto nella repubblica centro-asiatica un referendum che ha profondamente inciso sulla Carta costituzionale uzbeca. Garantendo maggiori tutele in termini di diritti e servizi sociali ai cittadini dello Stato, ma anche rivedendo il mandato presidenziale. Quest’ultimo, mantenuto rinnovabile solo per una volta, è stato infatti esteso a sette anni dai precedenti cinque, azzerando oltretutto la situazione attuale. In questo modo Mirziyoyev, che nel 2026 terminerà l’attuale secondo mandato, potrà ricandidarsi e potenzialmente, data la natura autoritaria del regime che ha ereditato dal predecessore Islam Karimov nel 2016, rimanere al potere fino al 2040.

Tornando alla visita berlinese del leader uzbeco, il fatto che sia stata organizzata così a breve distanza dal passaggio referendario fa capire la presa che Mirziyoyev ha sulla sfera politica domestica e la sua volontà di capitalizzare immediatamente l’attuale situazione ponendosi come leader votato alle riforme e all’apertura dell’Uzbekistan verso l’esterno. In Germania ha tenuto incontri con il presidente federale Frank-Walter Steinmeier e con il cancelliere Olaf Scholz, oltre che con figure di spicco del mondo imprenditoriale tedesco (sono stati siglati accordi per 9 miliardi di euro). Elemento imprescindibile quest’ultimo, considerando che Mirziyoyev si sta facendo fautore di un modello basato su timide aperture politiche e sociali a cui si accompagnano molto più significativi passi avanti dal punto di vista economico.

Va detto anche che l’attuale situazione geopolitica ha fatto sì che da nessun Paese europeo, né da Oltreoceano, si sia alzata alcuna voce critica rispetto alle modifiche costituzionali fortemente volute dal presidente uzbeco per garantirsi quasi altri due decenni al potere. Solo l’Osce si è spinta a criticare il clima in cui la consultazione popolare è avvenuta. Troppo importante è infatti che Tashkent si mantenga perlomeno equidistante tra Bruxelles e Mosca: a sua volta quest’ultima si sta rendendo protagonista di una frenesia diplomatica in Asia Centrale che non ha precedenti, a suon di visite e continui scambi telefonici, visto che le repubbliche dell’area sono tra le poche a essersi mantenute perlomeno neutrali rispetto alla vicenda ucraina.

Parlando di Russia, l’attuale silenzio rispetto all’Uzbekistan stride con le critiche che si erano levate quando, nel luglio 2020, Putin aveva ottenuto simili modifiche costituzionali, garantendosi anche dal punto di vista formale la possibilità di occupare le stanze del Cremlino fino al 2036. In quel caso l’Unione europea aveva chiesto ufficialmente a Mosca di indagare sulle segnalazioni di irregolarità durante il voto. Non solo: da Bruxelles erano arrivate anche critiche sulla sostanza della riforma, come l’emendamento che garantisce alla legge russa il primato legislativo rispetto agli impegni presi a livello internazionale. Un’attenzione che nei confronti del regime che guida l’Uzbekistan non si è manifestata, almeno al momento.

Anzi, l’agenda di Mirziyoyev è quanto mai fitta. Dopo la visita in Germania, lo attende infatti l’incontro in Cina con Xi Jinping, insieme agli altri presidenti delle repubbliche centro asiatiche. Appuntamento molto importante, considerando che il presidente della Repubblica Popolare delineerà la strategia di Pechino per l’area. Evento significativo ma che si inserisce in una continuità di rapporti, considerando quanto la Cina ha investito negli ultimi anni in Asia Centrale e quanto consideri i Paesi dell’area interlocutori privilegiati sulla scena internazionale, anche per affinità politiche.

Meno di routine, nonostante anche l’Italia negli ultimi anni abbia accresciuto il proprio ruolo nella regione, è la visita che Mirziyoyev terrà invece a giugno a Roma. Sono previsti incontri di altissimo livello, considerando che salvo smentite il leader uzbeco avrà colloqui con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con la premier Giorgia Meloni e con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Sul tavolo, anche in questo caso, l’approfondimento della partnership politica e il potenziamento dei rapporti di natura commerciale.

Più che spingere a un atteggiamento critico nei confronti di un leader sempre più padrone della sfera politica domestica, l’approvazione del referendum in Uzbekistan sembra invece aver scatenato l’effetto contrario. La volontà da parte di numerose cancellerie – perché c’è da immaginare che nei prossimi mesi saranno numerosi i viaggi all’estero di Mirziyoyev – di stringere i rapporti con una figura politica con cui sarà probabilmente necessario interfacciarsi per i prossimi due decenni. Figura alla guida di un Paese tutt’altro che secondario: l’Uzbekistan ha infatti quasi 40 milioni di abitanti, un’economia in crescita e confina con tutte le altre repubbliche centro asiatiche, compreso l’Afghanistan. Fattore, quest’ultimo, che ne fa un perno della sicurezza regionale.

Consapevolezza che c’è anche a Washington. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha visitato la regione a marzo, ribadendo l’attenzione che gli Stati Uniti prestano alla sovranità e all’integrità territoriale dei partner locali, lasciando però pressoché fuori dal tavolo il tema dei diritti e dell’apertura democratica. Come impone la realpolitik.

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