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Il mostro del Circeo Angelo Izzo racconta l’orrore: “Le due ragazze erano lì perché volevamo ucciderle non violentarle, nessuno lo ha mai capito”

In “Io sono l’uomo nero - dal Circeo a Ferrazzano: la storia mai raccontata di Angelo Izzo e dei suoi crimini”, edito da Rai Libri, il mostro del Circeo descrive con estrema lucidità le ragioni del suo agire criminale, senza nascondersi. Il libro è di Ilaria Amenta, giornalista di Radio Rai da oltre 20 anni

di Alessandra De Vita

Calarsi nelle regioni profonde del male più puro può essere molto frastornante. A volte si decide di attraverso le memorie di chi ha scelto la violenza come unica strada senza ritorno. È ciò che ha fatto Ilaria Amenta, giornalista di Radio Rai da oltre 20 anni, nelle pagine di “Io sono l’uomo nero – dal Circeo a Ferrazzano: la storia mai raccontata di Angelo Izzo e dei suoi crimini”, edito da Rai Libri, in cui il mostro del Circeo descrive con estrema lucidità le ragioni del suo agire criminale, senza nascondersi. “Se mi guardo indietro vedo solo una sequela di reati e violenza. Ma questa è stata la mia vita. Non mi piace l’idea della vita borghese cui ero destinato, e perciò va bene così. Ci sembrava facilissimo, ci esaltava e dava alla testa. Erano proprio una droga per noi, ci sentivamo davvero invulnerabili“. Izzo, che è ancora in carcere dove sconta due condanne all’ergastolo dopo svariate evasioni, ha iniziato a scrivere nel 2016 e non ha più smesso. Il suo racconto dell’orrore è un diario lungo migliaia di pagine, brutale, e fino ad oggi inedito.

Quegli scritti sono il cuore di una confessione viscerale al netto della censura operata da parte della stessa autrice per motivi editoriali. “C’è un altro limite, non valicabile. Nella prosa di Izzo ci sono lo stesso sadismo, la stessa presunzione di impunità, lo stesso disprezzo che caratterizzano il suo agire criminale. Per non permettere a Izzo di perpetrare il suo delitto e continuare a violare le vittime c’era la necessità di un filtro che comunque non tradisse la fedeltà dell’originale. I dettagli più scabrosi e macabri li lasciamo all’autore, agli autori, narcisi del male”, spiega la Amenta.

Il libro è nato da una fortuita coincidenza. L’autrice aveva contattato un’associazione che si occupa invalidità civile dopo che la madre era stata ricoverata per via di una brutta caduta e uno degli operatori, un giorno, le confessò di avere con sé alcuni memoriali di Izzo, recuperati da un suo assistito che era stato in carcere con lui. ‘Io sono l’uomo nero‘ parte da quegli scritti ma “da quelle pagine – scrive la Amenta – prende tutta la distanza possibile, perché quelle pagine sono un documento sull’orrore di una mente, di un gruppo di persone, che ha lasciato cicatrici indelebili”.

Gli occhi sgranati, lo sguardo fiero e un sorriso che faceva a pugni con ciò che aveva appena fatto: quella foto che lo ritrae al momento dell’arresto a due passi da casa sua, nel quartiere Trieste, è il manifesto programmatico del gruppo di “drughi” pariolini che avevano scelto l’ultraviolenza come unico mezzo di distacco e ribellione al modello alto-borghese a cui erano destinati da prima ancora di venire al mondo. C’è il racconto in prima persona delle torture che il 29 settembre del 1975 furono inflitte fino alla morte alla 19enne Rosaria Lopez (che venne uccisa) e alla 17enne Donatella Colasanti, sopravvissuta allo stupro fingendosi morta e scomparsa nel 2005 per un tumore al seno.

Le due ragazze violentate, seviziate e massacrate da Izzo insieme a Gianni Guido e Andrea Ghira furono portate, con il pretesto di una festa, nella villa di proprietà della famiglia di Ghira (che non avevano ancora incontrato) sul promontorio del Circeo, in zona Punta Rossa. L’Istituto San Leone Magno era la fucina del male, “La scuola cattolica” raccontata nel profondo nell’omonimo film tratto dal libro di Edoardo Albinati. Provenivano dal quartiere popolare della Montagnola le due vittime, e avevano incontrato due dei tre ragazzi nel settembre 1975, pochi giorni prima dell’ultimo fatale incontro, nel bar della torre Fungo dell’Eur. Gianni Guido e Angelo Izzo davano tutta l’impressione di ragazzi garbati, gentili ed educati. “Le due ragazze erano lì perché le volevamo uccidere, non violentarle. Nessuno l’ha ipotizzato e capito” scrive Izzo prima di raccontare per filo e per segno quelle 36 ore nella villa al Circeo.

Nel libro ci sono i racconti dei suoi crimini pregressi. Due anni prima del massacro, insieme a Ghira aveva compiuto insieme una rapina a mano armata per la quale avevano scontato venti mesi nel carcere di Rebibbia. Nella primavera del 1974, un anno e mezzo prima del massacro del Circeo, Izzo aveva violentato due ragazzine insieme a due amici e perciò era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione, mai scontati a seguito di sospensione condizionale della pena. Ghira dal canto suo si proclamava ammiratore del capo del Clan dei marsigliesi Jacques Berenguer fino a spacciarsi per lui. Si legge dalla deposizione della Colasanti: “Improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l’ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze”.

Rosaria fu trascinata nel bagno dove fu picchiata e infine annegata nella vasca. I tre tentarono di strangolare Donatella con una cintura, poi fu colpita con una spranga di ferro mentre tentava di raggiungere il telefono. Fu in quel momento che si lasciò cadere a terra e si finse morta. La rinchiusero insieme al cadavere di Rosaria nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca, la stessa in cui fu ritrovata nei pressi della casa di Guido, in via Pola, a Roma, quella stessa sera. Prima di disfarsi dei corpi, decisero di andare a cenare in un ristorante ma rimasero coinvolti in una rissa con un paio di giovani militanti comunisti. I tre ragazzi militavano tutti in movimenti neofascisti ed erano legati alla destra extraparlamentare. Donatella iniziò a gridare e a battere colpi sul bagagliaio riuscendo infine a richiamare l’attenzione di un metronotte che diede l’allarme a una vettura dei Carabinieri.

Non mancano le descrizioni dei suoi amici e quella delle rapine in banca. Racconto che è stato, appunto, tagliato. “Ho dovuto e voluto censurare” scrive Amenta che poi aggiunge: “Non è stato facile trascrivere queste pagine, ho vissuto le sevizie con Rossella e Donatella, ero stanca e sfinita con Rosaria e Donatella. L’orrore e il raccapriccio sono diventati i sentimenti dominanti. Mi sono chiesta se avessi voglia e forza di andare avanti. Ho deciso di farlo per tentare di entrare nella testa del mostro e per ricordare Rosaria e Donatella prima di tutto, ma anche tutte le battaglie che, dai quei fatti, i movimenti femministi e non solo hanno cavalcato”.

Il massacro segnò una svolta anche sul piano della giustizia in Italia: fu in seguito a quel processo, concluso con una condanna di ergastolo, che lo stupro divenne un crimine contro la persona anziché contro la pubblica morale. Izzo oggi ha 67 anni ed è in carcere dove sta scontando il suo secondo ergastolo, quello per il delitto di Ferrazzano in cui uccise Maria Carmela Linciano e sua figlia Valentina. E anche questo è raccontato nei dettagli. Ma perché pubblicare questo memoriale dell’orrore? “Per provare a capire come un’anima possa attraversare la linea del bene senza riuscire a tornare indietro e come – dopo aver scontato trent’anni di carcere per il massacro del Circeo – si possa compiere lo stesso delitto con la stessa identica efferatezza. Senza un minimo accenno di pentimento” prova a spiegare Amenta. Un’assenza di pentimento che è evidente ed è messa nero su bianco dal mostro del Circeo: “Avevo pure collaborato con la giustizia, ma l’ho fatto per uscire, per poi tornare a commettere reati di fuori. Non ho mai voluto fare altro”. Qual è stato invece il destino dei suoi complici? La sentenza di Gianni Guido venne modificata in appello il 28 ottobre 1980 e la condanna fu ridotta a trenta anni. Il 21 gennaio 1981 riuscì a evadere dal carcere di San Gimignano. Fuggì a Buenos Aires ma venne riconosciuto dall’Interpol e catturato. Riuscì a scappare ancora ma fu nuovamente preso a pochi chilometri da Panama ed estradato in Italia. Nel 2008, è stato affidato ai servizi sociali, dopo 14 anni a Rebibbia. Ha finito di scontare definitivamente la sua pena il 25 agosto 2009, grazie a uno sconto di pena di otto anni. Dopo la scarcerazione ha iniziato a lavorare come traduttore di opere religiose e ha gestito il patrimonio di famiglia. Andrea Ghira invece è stato contumace e latitante fin da subito dopo la condanna all’ergastolo. Sarebbe morto a Melilla, nella sua casa di Costa della Vigna, dopo aver militato nella legione straniera spagnola, in seguito a overdose all’età di 40 anni il 2 settembre del 1994. Anche su questo grava un pesante dubbio di depistaggio più volte manifestato sia da Donatella Lopez che da Letizia, la sorella di Rosaria Lopez.

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