A volte capita che un’opera prima emerga dall’oblio dopo che il suo autore, in maturità, vinca Oscar e Croisette varie. Così Can che abbaia non morde, di Bong Joon-ho, regista reso celebre dal suo Parasite, è approdato alle sale italiane solo adesso, pur essendo datato 2000. La profonda disparità di due classi sociali dove i vinti lottano per l’emersione sembra anche qui il fil rouge che collegherà tutte le opere del cineasta asiatico. Con questa black comedy che metterà qualche brivido agli animalisti s’incrociano i destini di un frustrato assistente universitario trasformatosi in serial killer dei cani vicini di casa e della brillante amministratrice di condominio che si mette sulle sue tracce.

La primissima scacchiera di personaggi metropolitani di Bong ritrae uno spaccato di vita coreana reso in maniera tutt’altro che acerba. Il suo mega-condominio si eleva a labirinto di anime buffe. Alcune avvolte da chiaroscuri che il regista manipolava sapientemente già 23 anni or sono con una messa in scena ricca di prospettive caratteriali quanto urbane. Risulta nutriente e rinfrancante allora riscoprire oggi una satira condominiale così generosa nel mescolare thrilling a situazioni dalla comicità macchinica, personaggi immersi in inseguimenti alla Buster Keaton e pizzicate di quel neorealismo del Sol Levante che nel 2020 avrebbe portato Parasite al successo globale. Al cinema dal 27 aprile.

Ci spostiamo in un altro condominio, nel cuore della Francia stavolta, con L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, di Alain Guiraudie. Mentre la placida Clérmont-Ferrand viene scossa da un attentato terroristico di apparente matrice islamica, un uomo s’innamora di una prostituta, e spinto da una fiduciosa generosità ospiterà in casa un giovane arabo che dorme per strada. Commedia di piccoli sotterfugi e quiproquo dove si ridacchia a denti stretti, vengono tratteggiate con leggerezza le piccole insicurezze annidate tra le scale di un condominio solidale insieme a sguardi spesso indiscreti. Plot originale e a modo suo curioso, riesce a snodarsi in una storia che tocca con ironia la gelosia e l’amore carnale da una parte, e la paura per la propria sicurezza e il pregiudizio verso lo straniero dall’altra.

Il regista riesce a cogliere i segni di una Francia sospesa tra l’antico e moderno, proprio come la città di Clérmont-Ferrand. Così come alcuni tratti determinanti per la vita sociale: fiducia, possesso e passione. E da qui la sua commedia mette in luce le dinamiche intorno al terrorismo rimbalzato mediaticamente e sui social fino al vacillare verso lo sconosciuto. Questa sesta regia di Guiraudie da noi è stata designata Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI, ed è al cinema dal 27 aprile.

Per dare invece uno sguardo indiscreto a due prossime uscite, dal 4 maggio arriva al cinema questo Alice, darling, opera prima di Mary Nighy, figlia di uno degli attori più carismatici di questi anni: Bill Nighy. L’esordio di questa regista classe 1984 non è dei più folgoranti, ma propone una Anna Kendrick molto intensa nel ruolo di una donna intrappolata nel silenzio sulle violenze psicologiche subite in casa. Il suo compagno, principe azzurro e cavaliere nero insieme, impersona tutto ciò che di tossico può rovinare una relazione. Lo interpreta Charlie Carrick, perfetto con il suo volto da buon vicino angelicamente insospettabile. Il plot ricorda A letto con il nemico, thriller del 1991, dove Julia Roberts veniva perseguitata da un marito violento.

Se in quel film si puntava molto al dramma espresso in azione fisica con aspirazioni hitchcockiane, Nighy concentra il suo lavoro sul piano psicologico, rivelando ottime intenzioni di grande modernità (in primis la solidarietà revenge tra amiche) ma dà vita a un film privo di un’idea davvero fulminante, mostrandoci una corolla di cliché un po’ scontati attraverso una gestione della macchina da presa ancora non all’altezza di quella raffinatezza anelata dalla sceneggiatura pur non perfetta di Alanna Francis. Ne viene fuori un film di cassetta, dal carattere principalmente commerciale, potenzialmente vendibile per la sua linearità elementare su qualsiasi mercato home del globo. Insomma, qualità o quantità, questo è il dilemma.

Anche Creature di Dio è al cinema dal 4 maggio. Ma qui il dilemma è di una madre infranta dal dubbio sulla colpevolezza sulla copertura del figlio. Emily Watson è magistrale nell’impersonare l’operaia di una fabbrica di pesce in scatola che riaccoglie in casa dopo molto tempo il figlio, nel frattempo cambiato dalla vita e dalle esperienze in mare. Siamo in un villaggio irlandese di pescatori. Dove gli uomini escono in mare anche per anni e annegano per naufragio non sapendo nuotare. Paradosso di microsocietà dura, con regole ferree e innumerevoli ombre.

Potremmo definirlo opera prima combinata quella di Saela Davis e Anna Rose Holmer, visto che hanno precedentemente lavorato insieme ma dividendosi vari ruoli. Il loro primo cinema sa di erba e mare in tempesta, respirando salsedine e ghiacciandosi le mani con il pesce del Mare del Nord raccontano una storia dove la componente morale è potentissima. Il loro viaggio sul grande schermo allora ci accompagna al crepuscolo di una comunità messa a rischio dalle rivelazioni di una donna, dove si faranno i conti con il tradimento di una madre verso il proprio figlio.

Articolo Precedente

Bari, AncheCinema vorrebbe Il Sol dell’Avvenire ma riceve sempre dei no: Nanni, aiutaci tu!

next
Articolo Successivo

Morto Alessandro D’Alatri, addio al regista delle fiction “I Bastardi di Pizzofalcone” e “Il Commissario Ricciardi”. Alessandro Gassmann: “Rip amico mio”

next