Vita dolce, certo, ma non per tutti, quella dell’antica Roma. Anzi, dolce lo era di sicuro per un’esigua parte privilegiata della società che partiva dagli Imperatori per estendersi (di poco) a senatori, patrizi, leccaculo e arricchiti, queste due ultime categorie spesso coincidenti, anche oggi.

Per tutti gli altri, la vita era il solito disastro, alle prese con la fame, la sussistenza, il degrado, la paura, le guerre, una vita che ti offriva i giochi delle arene e le terme pubbliche come massimo della cultura e del divertimento. Anche queste, tuttavia, concepite dal potere non per compiacere i cittadini, ma per il mantenimento della pace sociale e di un minimo di igiene, mentale e fisica.

Per questo, la mostra ‘Vita Dulcis’ inaugurata al Palexpo di Roma mette in scena non la vita dei Romani, ma quella dell’élite del tempo imperiale e lo fa – per di più – con un impianto scenico che ricorda la Venezia di Las Vegas. Otto spazi, di cui sette allestiti seguendo un titolo evocativo: Para Bellum, Animula Vagula Blandula, Dux Femina Facti, Ridentem Dicere Verum, Ubi Potentia Regnat, Mixtura Dementiae, Certa Omnibus. Infine lo spazio della rotonda dove campeggiano delle ‘statue luminose’ raffiguranti sei dee realizzate da Francesco Vezzoli, l’artista che si è ‘impadronito’ della storia romana e anche di molte statue per rivisitarle in chiave pop.

L’operazione è controversa. Da un canto, si vuole attualizzare per i viventi la freddezza millenaria del marmo romano, dall’altro viene da pensare a simili profanazioni compiute in passato su opere antiche da artisti provocatori e subito aspramente biasimate. In questo caso, invece, le azioni di Vezzoli paiono benedette dalle fondazioni, gallerie e proprietari privati delle opere ‘maneggiate’ e stravolte con l’ammirato beneplacito delle autorità artistico-archeologiche italiche.

Certo, se personalmente possedessi una testina dei tempi di Caligola mi guarderei bene dall’affidarla a chicchessia dicendogli: ”Tieni, facci ciò che vuoi, trasformala in qualcos’altro.” Ma tant’è. L’inaugurazione della mostra ha visto centinaia di invitati entusiasti dell’operazione ‘lasvegas’ la quale include in ogni sala anche spezzoni di capolavori del cinema genere ‘peplum’, a partire da Spartacus di Stanley Kubrick, passando per Cabiria di Giovanni Pastrone, Satyricon di Federico Fellini, il Gladiatore di Ridley Scott, Caligola di Gore Vidal. Anche quest’ultima pellicola subisce l’azione di Vezzoli, che ne monta vari spezzoni in modo tale da ottenere un trailer inedito e porno del film.

Ogni sala, come si intuisce dai titoli, affronta un aspetto preciso della vita romana, la guerra, l’amore (per lo più omosessuale), le donne, la satira, l’impero, la pazzia del potere, la morte. La sala centrale infatti, Certa Omnibus, è una sorta di via Appia Antica in miniatura, un viale costellato di lapidi che significarono vere vite umane e che qui servono solo a condurre il visitatore verso una piccola testa di giovane stagliata davanti allo schermo dove si proietta Cabiria, l’antesignano di tutti i film peplum.

Vita Dulcis in definitiva mette in scena un’Antica Roma di cartapesta costruita però con elementi reali, effigi di uomini e donne realmente vissute, di dèi realmente un tempo adorati e pregati, il cui valore storico viene a volte ridicolizzato, a volte demitizzato, sempre banalizzato e reso perfetto per quel turismo di massa e ignorante che la politica da decenni incoraggia e predilige per il nostro Paese, per la nostra storia.

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