Adesso ho un obiettivo chiaro. Uscire dalla città, camminare senza guardarmi indietro fino a una vasta pianura, fino alle silenziose pendici di una montagna. Alla fine, pensò, voglio dimenticare tutto, dimenticare perfino di essere un uomo. Mi smantellerò pezzo per pezzo, filo a filo. Adesso mi farò silenzioso, chiuderò gli occhi senza pensare a niente, non mi muoverò. In questo modo mi abituerò alla scomparsa.

Lungo cammino, di Ayhan Geçgin (traduzione di Giulia Ansaldo; Utopia Editore), è un libro bellissimo e originale che affronta il tema della libertà intrisa di solitudine. È il viaggio esistenzialista di un uomo che un giorno come gli altri decide di abbandonare la madre e la casa dove vive per mettersi alla ricerca delle “montagne“.

Dalla parte asiatica di Istanbul il protagonista si sposta sull’altra riva del Bosforo e si immerge nel mondo degli invisibili, vive nei parchi, mangia quello che trova nei bidoni dell’immondizia, si accompagna ad altri disperati dimenticati dal progresso che avanza. E si ritrova in ospedale, scoprendo di esserci arrivato a seguito delle proteste di Gezi Park, massacrato impunemente dalla polizia che lo ha scambiato per un Çapulcu (teppista), termine usato da Erdogan per definire gli attivisti scesi in piazza per difendere gli alberi del parco e rivoltatisi contro il suo governo.

Allora cominciò a ricordare qualcosa. La folla, gente che urlava slogan, saltava con entusiasmo. Poi gli vennero in mente le esplosioni, le nuvole di gas, la gente che scappava, quella che restava a terra, i manganelli che gli si abbattevano addosso, le spranghe. Poteva anche essere caduto dall’alto. Si ricordava di un volo molto lento, piacevole, al rallentatore, aveva pensato di avere le ali.

Senza più identità, senza più un nome, l’uomo si rimette in viaggio. Non sa più quale sia il motivo del suo errare. La fame, il sonno, il freddo, la malattia si insinuano nel suo corpo, mentre i suoi piedi lo portano lontano dalla società civile, su montagne senza nome dove incontra militari, guerriglieri e bambine che comunicano in lingue sconosciute.

Ci gettarono sopra sassi e pietre di ogni dimensione. Finché non crearono qualcosa che potesse ricordare una tomba. Ma era chiaro che il cumulo non avrebbe preservato il cadavere dagli animali. La bambina si accovacciò di fronte alla tomba e continuò a dondolare in avanti e indietro per un po‘. Batté sulla spalla della piccola. Non si mosse.

Utilizzando un punto di vista ottico, fotografico, per narrare una storia riflessiva intrisa di sentimenti umani, Ayhan Geçgin riesce in questo romanzo a raccontare la Turchia contemporanea e le sue innumerevoli tensioni dando centralità a un protagonista estraneo alla Storia.

Lungo cammino racconta la società turca, decifra i pensieri che stanno dietro ai vagabondi e ai mendicanti che si incontrano nei meandri delle vecchie mura a Kumkapi o nelle discariche di Samatya. Un percorso narrativo che, a tratti, ricorda il periplo allucinato del maestro algerino de Il sale dell’oblio di Yasmina Khadra. Un’opera intelligente, profonda e scritta in modo diretto e semplice.

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