Si è celebrata a Verona la 55esima edizione della manifestazione nazionale “Vinitaly”. Oltre una scontata corte di “nani e ballerine”, rievocando la storica icastica battuta di Rino Formica, sono intervenuti tra gli altri i ministri Lollobrigida (Agricoltura), Schillaci (Salute) e Tajani (Esteri), e poi la stessa Presidente del Consiglio Meloni. In nome del made in Italy e soprattutto della relativa quota di Pil che il vino comporta, si sono lasciati andare ad affermazioni sul beneficio di questa sostanza per la salute, purché impiegata in modiche quantità (come l’hashish… nda), che oggi però non trovano conferma alcuna nella letteratura scientifica accreditata, anzi, la certezza ne riguarda proprio il maleficio. E questa non è l’opinione di un singolo per quanto autorevole esperto, ma della maggior parte dei ricercatori e di tutte le istituzioni scientifiche nazionali e sovranazionali che concorrono a costruire la verità scientifica, laicamente, cioè fino a prova contraria che si avvalga del medesimo metodo scientifico.

Esattamente nel gennaio del corrente anno 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha pubblicato un documento sulla rivista Lancet Public Health in cui si afferma che “No level of alcohol consumption is safe for our health” (Nessun livello di consumo di alcol è sicuro per la nostra salute). Già tuttavia nel 1995 l’Oms dichiarava che “less is better” (bere meno è meglio).

Il documento in questione ricorda come l’alcol sia stato incluso tra le sostanze cancerogene per l’uomo con il più alto grado di evidenza già nel 2013 dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC). Si precisa come l’effetto cancerogeno sia prodotto dall’alcol in quanto tale, a prescindere quindi dalla miscela organolettica più o meno nobile in cui è contenuto, talché, sotto il profilo del rischio, non sussiste differenza alcuna tra un pregiatissimo quanto costoso vino doc/dop ed un vino confezionato in cartone. E’ acclarato che il principale meccanismo cancerogeno dell’alcol dipende dal metabolita acetaldeide (responsabile anche in quanto vasodilatatore del mal di testa successivo ad importante libagione) in cui l’alcol viene trasformato ad opera di diversi enzimi che agiscono a livello epatico. Una molecola in grado di esercitare un’azione genotossica, cioè di danno diretto sia al Dna cellulare che ai suoi meccanismi riparatori, in particolare a carico delle cellule staminali, cioè le meno differenziate che in quanto tali mantengono la potenzialità di trasformarsi in diversi istotipi che caratterizzano un ampio spettro di tessuti dell’organismo, da cui la capacità dell’alcol di essere un cancerogeno totipotente, perché in grado di provocare il cancro in una importante pluralità d’organi, tra cui cavità orale, faringe, laringe, esofago, colon-retto, fegato e soprattutto mammella.

Accanto a questa azione che colpisce a monte il capostipite della catena di differenziazione cellulare, se ne affiancano altre che agiscono alterando la produzione di ormoni androgeni ed estrogeni che presiedono a molte cruciali funzioni cellulari, o ancora tramite meccanismi competitivi con sostanze indispensabili al controllo cellulare, come gli ftalati e infine favorendo come solvente l’azione di altri cancerogeni ambientali, a partire dalle sostanze chimiche che compongono il fumo di tabacco.

Il rapporto Oms sulla relazione alcol e salute (Global status report on alcohol and health) riporta che l’alcol è responsabile di circa 3 milioni di morti all’anno, pari al 5.3% di tutti i decessi, una percentuale maggiore del diabete (2.8%), dell’ipertensione (1.6%), degli incidenti stradali (2.5%) e delle cause violente (0.8%). Questa percentuale tradotta in anni di vita persi, nel confronto con l’aspettativa di vita delle rispettive popolazioni di provenienza, equivale a 107 milioni di anni di vita persi per mortalità prematura e a 25 milioni di anni vissuti con disabilità. Oltre la sofferenza, un onere gravoso per i servizi sanitari sostenuti dalla fiscalità generale.

Lo studio internazionale condotto in 195 Paesi che, a partire da una revisione sistematica della letteratura scientifica, ha aggiornato le conoscenze relative all’impatto sulla salute esercitato dall’alcol contenuto in qualsiasi bevanda alcolica è stato pubblicato nel settembre 2018 sulla prestigiosa rivista Lancet (Alcohol use and burden for 195 countries and territories, 1990-2016: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2016, vol 392, issue 10152, 22-28 september 2018). La rilevanza di questo studio è in primis di tipo metodologico, perché è stato in grado da una parte di mettere a punto un sistema integrato d’informazioni provenienti da più fonti con valutazioni di coerenza interna che hanno reso estremamente più affidabile l’attribuzione del consumo di alcol, tradotto in grammi di etanolo puro consumato quotidianamente; dall’altra di tener conto del peso di altri diversi determinanti delle malattie alcol-correlate, nonché dell’omogeneità delle popolazioni di sani e malati a confronto, per genere, età e status socio-economico.

La carenza di questo rigore metodologico è presente in molti studi che hanno evidenziato gli effetti benefici dell’alcol a basse dosi, ma che si sono rilevati, alla luce di questo approccio, viziati da troppe distorsioni. Contenuti effetti protettivi per cardiopatia ischemica e diabete si sono evidenziati soltanto nelle donne più giovani, anche se disaggregati per età perdono di significatività statistica, ma tali effetti protettivi vengono comunque totalmente assorbiti dal prevalere di altre malattie, a partire dai tumori, quando si valuta l’intero carico di malattia e per l’intera durata della vita.

La controprova canonica del nesso di causa tra alcol e malattia, tumori in particolare, è dato dall’evidenza dell’effetto dose-riposta per cui la frequenza della patologia aumenta o diminuisce al crescere o al decrescere del consumo di alcol e soltanto a consumo zero la curva è piatta, talché si può correttamente concludere che non esiste una soglia di sicurezza per l’alcol, cioè una quantità abbastanza piccola da risultare innocua.

E’ vero che quotidianamente si accettano rischi sanitari di varia natura, a cominciare dall’utilizzo dei mezzi individuali di trasporto, in virtù di un rapporto costo-beneficio che si accetta quasi in automatico. E così anche per il fumo di tabacco, per il riscaldamento/raffrescamento delle abitazioni, per il consumo di carni rosse trattate (insaccati) che, a prescindere dagli impatti nefasti sull’ambiente e sul clima, ricadono nel gruppo IARC delle sostanze cancerogene per l’uomo.

L’epoca dell’antropocene non perdona, ma non per questo possiamo rinunciare a vivere pur nella doverosa consapevolezza di tutte le nostre contraddizioni che ci impongono di cambiare rotta, pena la scomparsa della razza umana. Come diceva Woody Allen, le cose migliori della vita o sono peccato o fanno venire il cancro. Ciò premesso, non si può però sostenere addirittura il contrario di quanto costituisce una consolidata conoscenza, soprattutto da parte di un Ministro della Salute, perché, in termini di credibilità di ruolo, è come ascoltare un prete che bestemmia… Almeno si abbia il pudore di soprassedere e si plauda alle magnificenze del vino avvalendosi di altre argomentazioni, offerte da poesia, prosa, pittura e filosofia, però, vi prego, lasciamo stare la salute!