L’enorme scalpore suscitato dallo scoop de Il Fatto Quotidiano sul caso delle due fondazioni dell’ordine dei Consulenti del Lavoro, degli intrecci coniugali e ministeriali e di chissà quando ancora emergerà dall’inchiesta della Guardia di Finanza, e dalle risposte alle tre interrogazioni parlamentari presentate, fa tornare d’attualità un altro ente, decisamente più importante per numero di associati e patrimonio, l’Enpam, Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Medici e Dentisti.

Me ne sono già occupato in due occasioni, la prima per raccontare degli emolumenti faraonici dei suoi amministratori che siedono sugli scranni da tempi biblici, alternandosi nelle cariche in una specie di slalom fra le incompatibilità, di investimenti arrischiati coi soldi degli associati e di parecchio altro ancora. La seconda per raccontare di un altro investimento in perdita, questa volta l’acquisto di azioni di Mps, dello scioglimento con condanna di una società messa in piedi dall’Enpam per fornire copertura assicurativa per la tutela assistenziale nei primi trenta giorni di malattia. A segnalare l’intreccio granitico fra Enpam e Ordini locali, ho anche raccontato la storia di un’operazione immobiliare fallimentare: l’acquisto della “Villa della Discordia”, effettuato dall’Ordine dei Medici di Catania con mutuo concesso dall’Enpam, e ceduta di recente con una perdita secca ancora da stimare esattamente.

Nonostante le infinite inchieste della magistratura, alcune conclusesi con condanne e risarcimenti, lo stesso blocco di potere sta ai vertici dell’Enpam da oltre vent’anni. Ovviamente a spese degli associati e un po’ anche di tutta la platea dei contribuenti. Di qui le denunce ricorrenti dell’Amire (significativo l’account: enpamveritas.it), un’associazione di medici molto preoccupati per la sorte dei contributi che pagano alla loro Cassa per farsi una pensione. Il suo scopo è la riforma della disciplina degli Enti gestori delle forme obbligatorie di previdenza (Casse Previdenziali privatizzate) istituite con il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 , quello che, in nome dell’autonomia, ha favorito la moltiplicazione degli amministratori – delle loro ricche retribuzioni, degli incarichi opachi e della gestione privatistica dei patrimoni collettivi – per una platea che conta circa un milione e 620mila iscritti obbligatoriamente (per poter esercitare la professione) a una delle 18 Casse previdenziali di ordini professionali.

Ognuna ha un Consiglio di Amministrazione con tanto di consiglieri (circa 2000 in tutto), presidente e vice, collegi sindacali e strutture burocratiche, un costo che già nel 2018 era stimato in oltre 33 milioni di euro l’anno, oltre alle sedi, al personale e ai costi vivi. Giusto per dare un’idea, per amministrare 25 milioni di pensioni l’Inps ha un Consiglio costituito da un Presidente e un Vice Presidente affiancati da un Comitato di Indirizzo e Vigilanza (CIV) composto da 24 componenti. Le Casse degli Ordini per meno di 2 milioni di iscritti hanno 18 presidenti, 18 consigli di amministrazione, 18 organi di vigilanza; ognuno con suoi regolamenti sedi strutture emolumenti.

Gli amministratori delle Casse decidono anche le loro retribuzioni e le varie indennità accessorie senza alcuna limitazione di legge. Così il presidente dell’Enpam Oliveti, che fa parte del Consiglio di Amministrazione dal 1995, nel 2018 ha percepito 649.906 €, il Consiglio di Amministrazione 2.156.148 € complessivi. Il Direttore Generale Enpam percepisce 371.000 € l’anno per gestire 509 dipendenti su un’unica sede e circa 350mila pensioni. Non sono tutti così, il presidente della Cassa dei Farmacisti ha un’indennità di 49mila euro lordi l’anno. Il Direttore Generale Inps percepisce 240mila euro annui e ha la responsabilità di 24.326 dipendenti distribuiti su oltre 400 sedi periferiche, con in carico le pensioni di 25,7 milioni di cittadini. Al Presidente dell’Inps vanno 150mila euro l’anno.

Siccome ogni sistema di potere si genera e si sostiene cementando interessi e sedimentando ambizioni e cordate, l’Enpam ricorre spesso nelle cronache in cui politica e affari si rincorrono e intrecciano a farsi sistema: dalla vendita del patrimonio immobiliare dell’ente, oggetto di accuse per il mancato rispetto dei diritti di prelazione di medici locatari a favore di altri soggetti vicini ai vertici, fino agli scandali di cui ci danno conto le cronache. Neanche le ingenti spese per il contenzioso (oltre 4 milioni di euro nel solo 2017, 5 nel 2018, 3,5 nel 2019 e 2,5 nel 2020, come certifica la Corte dei Conti) hanno indotto i vertici dell’Enpam a una più giudiziosa condotta: querelano e denunciano chiunque e per qualunque cosa, tanto pagano gli associati.

Per sollecitare il Parlamento a mettere mano alla riforma – prima che altri Enti previdenziali di ordini professionali facciano la fine dell’Inpgi, quello dei giornalisti, confluito nell’Inps con un salvataggio a spese dei contribuenti tutti – il presidente di Amire, Walter Palumbo, il 3 marzo di quest’anno ha scritto al presidente della Commissione Lavoro della Camera, on. Rizzetto, e a quello della Commissione affari Sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato, on. Zaffini, per chiedere un’audizione in merito.

I medici dell’Amire – lo scrivono ai due presidenti delle Commissioni parlamentari – chiedono norme contro la cristallizzazione degli incarichi, utili a favorire ricambio, controllo e trasparenza. Chiedono tetti massimi nel numero dei membri dei consigli di amministrazione e dei loro emolumenti; soprattutto chiedono che siano estese a tutti gli Enti previdenziali degli Ordini le modalità di elezione previste dal D.Lgs 103/96, ogni iscritto partecipa con un voto. Gli organi di governo delle Casse previdenziali di più vecchia costituzione sono eletti da un’assemblea formata dai Presidenti degli Ordini provinciali. L’Enpam è fra questi: decidono i 106 presidenti degli organi provinciali, dal 2015 affiancati da ulteriori 60 votanti in più scelti fra i giovani medici, i liberi professionisti, i medici di famiglia.

Visto il malcontento diffuso fra medici e dentisti, le cose potrebbero cambiare. Specie se il Parlamento introducesse le poche norme necessarie a garantire la trasparenza e il ricambio nella conduzione delle Casse e degli Ordini professionali. Servirebbe anche a tutelare la platea dei contribuenti tutti, sui quali ciclicamente vengono scaricati gli oneri di investimenti sbagliati e di mala gestio, spesso anticipati da denunce e segnalazioni che, se colte al momento opportuno, avrebbero potuto evitare il disastro.

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