Il nuovo Mondiale di F1 che parte nel week-end vede sulla griglia di partenza tre scuderie su dieci guidate da un team principal italiano. Nessuno di questi è in Ferrari, che dopo l’ultima turbolenta stagione chiusa dalle dimissioni di Mattia Binotto si è affidata al francese Frédéric Vasseur. Il posto di quest’ultimo in Alfa Romeo è stato assunto da Alessandro Alunni Bravi, avvocato e manager umbro attivo da oltre vent’anni nel motorsport. Se invece l’altoatesino Günther Steiner è ormai una presenza fissa in cabina di comando della Haas, la grande sorpresa è rappresentata da Andrea Stella, ingegnere di Orvieto fresco di nomina quale team principal della McLaren. È dai tempi di Flavio Briatore in Benetton che una simile posizione non veniva ricoperta da un italiano in una scuderia straniera di blasone e valore. La Benetton infatti, che vinse il Mondiale piloti con Michael Schumacher nel 1994 e nel 1995, e il titolo costruttori in quest’ultimo anno, era una team anglo-italiano.

La McLaren invece non ha certo bisogno di presentazioni, essendo stata una rivale delle scuderie italiane fin dagli albori della Formula 1, quando entrò in scena alzando l’asticella dei costruttori inglesi, ancorati al dilettantismo e che, come scritto da Maurice Hamilton in Formula 1 – La storia ufficiale, sembravano “scendere in pista con le loro macchine obsolete, semplicemente felici di correre”. McLaren contro Ferrari è diventata la sfida tra due filosofie, due stili, due eccellenze, capace di rinnovarsi ciclicamente per oltre cinquant’anni, attraversati anche da dispetti, ripicche, polemiche e tribunali (i millimetri delle gomme McLaren nella stagione 1976 all’apice della sfida Lauda-Hunt, il caso dello spionaggio industriale del 2007). Pure l’ultimo Mondiale vinto da un pilota della casa di Woking, nel 2008 (un anno dopo l’ultimo titolo Ferrari), maturò a in un’ultima gara surreale, a Interlagos, con Felipe Massa campione del mondo per 38 secondi prima che, all’ultima curva, Lewis Hamilton trovasse il sorpasso decisivo per finire quinto e sopravanzare il brasiliano di un punto nella classifica finale.

Quella di Stella è una storia di merito, valore e competenza. Nonostante oggi i principali competitor della Ferrari si chiamino Red Bull e Mercedes, il prestigio della posizione in McLaren rimane fuori di dubbio. Anche perché Stella si è costruito tutto quanto da solo, partendo da “semplice” ingegnere e crescendo professionalmente anno dopo anno, anche con scelte non facili come quella di trasferirsi con la famiglia a Londra quando, nel 2015, Fernando Alonso gli ha chiesto di lasciare la Ferrari e seguirlo in McLaren. Laureato in ingegneria aerospaziale alla Sapienza di Roma, per Stella le porte di Maranello si erano aperte nel 2000 dopo aver conseguito un dottorato in ingegneria meccanica. Dopo due anni è diventato veicolista della monoposto di Michael Schumacher, ruolo mantenuto anche dopo il passaggio di consegne, avvenuto nel 2007, tra il tedesco e Kimi Raikkonen. Negli ultimi anni in Ferrari Stella è stato ingegnere di pista, prima del finlandese e poi di Fernando Alonso, con il quale ha stretto un profondo rapporto di fiducia, tanto da accettare l’offerta di seguirlo in McLaren.

A Woking questo ingegnere classe 1971 è approdato come ingegnere di pista e, a dispetto delle stagioni difficili che vive la scuderia, tra il fallimentare ritorno dei motori Honda, l’addio di Ron Dennis e due penultimi posti nella classifica costruttori con record negativo di punti conquistati (rispettivamente 27 nel 2015 e 30 nel 2017), la sua carriera è stata un crescendo di soddisfazioni professionali. Prima viene promosso capo dei tecnici, quindi Performance Director, responsabile dei rapporti con la FIA, capo delle aree di sviluppo prestazioni e, dal 2020, Racing Director. Fino al gradino più alto, quello di team manager, ruolo rimasto vacante dopo la partenza di Andreas Seidl verso la Sauber, che significa Audi (la Casa di Ingolstadt ha rilevato delle quote di minoranza del gruppo elvetico), il cui sbarco in F1 è previsto per il 2026. Una promozione, come scritto da Giorgio Terruzzi su Autosprint, “basata, per una volta, proprio su ciò che dovrebbe scandire ogni carriera, ogni posizione di rilievo, vale a dire competenza ed esperienza, abbinate ad una capacità di operare all’interno di un gruppo”.

Stella non è il primo caso di tecnico formatosi in casa Ferrari che ha scelto di andare via per giocarsi al meglio le proprie carte professionali, diventando un valore aggiunto per altri team. Vengono alla mente casi come quelli di Aldo Costa, James Allison, Stefano Domenicali, tutti nomi ben noti all’interno del motorsport, ma i cui successi sono stati ottenuti lontano dalla loro casa madre. Maranello si conferma quindi un’ottima palestra formativa, all’avanguardia sotto molteplici aspetti, ma talvolta penalizzata da una sorta di imbuto a livello organizzativo-gestionale che impedisce di valorizzare al meglio i talenti coltivati. È stato scritto che il più grande avversario della Ferrari si trovi all’interno della Ferrari stessa. Forse è un’esagerazione, oltretutto poco rispettosa delle capacità delle rivali, ma casi come quello di Stella fanno riflettere, al netto della soddisfazione di vedere un italiano arrivare, per propri meriti, a capo di una delle scuderie più prestigiose della F1.

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