Giornalista, uomo di spettacolo, conduttore televisivo dalla carriera lunga oltre mezzo secolo. Ma nella vita di Maurizio Costanzo un grande peso lo ha avuto anche l’attività politica, intesa nel senso più ampio – e non sempre trasparente – del termine. Nel 1981 il suo nome fu trovato nella lista degli appartenenti alla loggia P2, un’associazione massonica deviata con finalità eversive nei confronti dell’ordinamento democratico. La tessera di Costanzo era la numero 1819, il suo fascicolo il numero 626, la qualifica quella di maestro. Solo pochi mesi prima aveva fatto discutere una sua intervista a Licio Gelli, il Maestro venerabile della loggia, pubblicata sul Corriere della Sera diretto da Franco Di Bella (un altro affiliato alla P2) in cui si parlava di idee e progetti coincidenti con quelli che poi furono scoperti essere gli obiettivi del “Piano di rinascita democratica“, il programma dell’associazione.

In un primo momento Costanzo negò con decisione l’appartenenza alla loggia, poi sostenne di essere stato iscritto a sua insaputa, infine ammise la sua partecipazione in un’intervista a Giampaolo Pansa pubblicata su Repubblica, in cui dichiarò di essersi affiliato dopo esser stato presentato a Gelli da Fabrizio Trecca, suo medico personale, reclutatore e capo dell’organizzazione della P2 nel Lazio. “Un gruppo di farabutti e cretini come me”, disse a proposito degli affiliati. Nel marzo 2019, in un’intervista a Peter Gomez nel programma La Confessione, spiegò: “Sono stato molto leggero, perché ero in una stagione della mia vita, ero piuttosto giovane, dove non avevo alcun tipo di attenzione e quindi sono stato un cretino. Sono stato però felice di aver telefonato a Eugenio Scalfari dicendo: “Mi ospiti? Mi fai fare un’intervista?” e lì mi sono liberato. Sono stato ampiamente insultato da altri della lista per aver fatto l’intervista, ma non me ne frega niente“.

All’inizio degli anni Novanta il conduttore fu impegnato in modo molto intenso nella lotta alla mafia: nelle sue trasmissioni era spesso ospita il giudice Giovanni Falcone, di cui era amico. Il 26 settembre 1991, un mese dopo l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi (ucciso da Cosa nostra per non aver voluto pagare il pizzo) Costanzo e Michele Santoro realizzarono una maratona tv contro la mafia andata in onda in contemporanea sulle reti Rai e Fininvest, con la diretta di Samarcanda di Santoro dal teatro Biondo di Palermo e del Maurizio Costanzo Show dal teatro Parioli di Roma. Memorabile rimase la scena in cui Costanzo bruciò in diretta una maglietta con scritto “Mafia made in Italy”. Fu la prima apparizione sulla tv nazionale di Totò Cuffaro, all’epoca deputato regionale, successivamente governatore della Sicilia e condannato in via definitiva per favoreggiamento a Cosa Nostra: durante la diretta si scagliò con veemenza contro conduttori ed intervistati, parlando anche di “giornalismo mafioso“.

Proprio a causa di questo suo impegno, il 14 maggio del 1993, sfiorò la morte a causa di un attentato: una Fiat Uno imbottita di novanta chili di tritolo esplose a Roma in via Ruggero Fauro, vicino al teatro Parioli, mentre transitava una Mercedes blu su cui sedevano Costanzo e la sua compagna Maria De Filippi. Gli occupanti rimasero illesi per un ritardo nello scoppio causato dal telecomando e per un muretto di una scuola che fece da protezione all’automobile blindata. A brevissima distanza c’era una Lancia Thema con a bordo le guardie del corpo Fabio De Palo (rimasto lievemente ferito) e Aldo Re (che subì lesioni legate allo shock). Le indagini successive e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia accertarono che gli autori dell’attentato erano alcuni mafiosi di Brancaccio e che Costanzo era uno dei principali obiettivi da eliminare per Cosa nostra a causa delle sue trasmissioni. Dal momento dell’attentato, il conduttore viveva sottoposto a un protocollo di protezione che nell’ultima fase della sua vita prevedeva due uomini di scorta.

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