Maurizio Costanzo, con sua moglie Maria De Filippi, doveva morire trent’anni fa, il 14 maggio del 1993, quando Cosa Nostra preparò un attentato contro di lui: una autobomba in Via Fauro. L’attentato fallì, per fortuna, ma rimasero ferite oltre venti persone.

Il fallito attentato in via Fauro si colloca nel pieno della stagione stragista, quella che ha visto impegnata Cosa Nostra, non da sola si intende (!), nella guerra allo Stato: alle spalle c’erano le bombe di Palermo, davanti ci sarebbero state quelle di Firenze, Milano, Roma. Una stagione, che a mio modo di vedere, era cominciata ed è poi finita proprio con altri due attentati falliti: quello all’Addaura del 20 giugno 1989 contro Falcone e quello allo Stadio Olimpico del 23 gennaio 1994, che avrebbe massacrato decine di carabinieri.

Una stagione che come sappiamo ha cambiato in maniera significativa gli assetti di potere nel nostro Paese: quasi niente sarebbe stato più come prima.

La colpa di Costanzo? Aver sputtanato la mafia in tv usando parole e gesti chiari e forti, dando spazio a Giovanni Falcone in un momento nel quale, per citare le parole di Riina, Cosa Nostra si “stava (ancora) giocando i denti” per ottenere un rinnovato trattato di pace con lo Stato. Ma nel 1993 la maionese era già impazzita: lo Stato e più profondamente la società italiana avevano, dopo le bombe di Palermo, cambiato passo e i margini per una rinnovata pacificazione apparivano sempre più risicati. Totò Riina era stato arrestato ad inizio gennaio e le norme fortemente volute da Falcone, nella sua brevissima ma decisiva parentesi come capo degli Affari penali del Ministero guidato da Martelli, iniziavano a produrre gli effetti desiderati. Infatti in particolare la Procura di Palermo, che sempre da gennaio di quell’anno era guidata da Gian Carlo Caselli, proprio grazie alle norme sui collaboratori di giustizia, al 41 bis e al 4 bis (oggi messi radicalmente e pericolosamente in discussione), registravano successi clamorosi: decine di latitanti mafiosi, catturati, decidevano di pentirsi e aprivano squarci sempre più ampi nella inviolabilità di Cosa Nostra.

Per tutto questo le bombe del 1993 sono più complesse di quelle del 1992. Autori e soprattutto destinatari di quegli attentati non sono gli stessi del 1992, perché non è più lo stesso lo Stato italiano e soprattutto non sono più gli stessi gli assetti di potere reale dentro lo Stato: Tangentopoli sta scassando tutto il mondo politico della Prima Repubblica ma già si intravvedono, sotto le macerie, comporsi nuovi poteri, che pescano a piene mani da quelli che si stanno sgretolando. Non sono cioè “altri” poteri, sono soltanto giocatori che fino a quel momento si erano scaldati a bordo campo: soggetti tutti noti sia alle cronache politiche che giudiziarie. Conosciuti molto bene anche da Cosa Nostra oltre che da certa massoneria riservata.

E’ il tempo nel quale prende corpo il progetto politico di Forza Italia, con personaggi di punta del calibro di Marcello dell’Utri, Antonio D’Alì – ai quali presto si aggiungerà in Calabria Amedeo Matacena (prematuramente scomparso, stroncato da un infarto, mentre stava terminando di scontare la latitanza a Dubai). Del 1993 sono stati ancora protagonisti, nel campo mafioso, i fratelli Graviano, detenuti che non collaborano (ma mandano messaggi) e Matteo Messina Denaro (detenuto che non collabora e per ora manda soltanto messaggi distensivi, tipo: “Ros e Gis mi hanno trattato con rispetto!”), ma non soltanto loro. E come stupirsene: si avvicinava il più radicale spoil system che la Repubblica avesse mai conosciuto e nessuno voleva restare fuori dalla lista. Insomma: la bomba in via Fauro non è soltanto il tentativo, fallito, di colpire un uomo libero e fastidioso.

Proprio per questo non ho mai capito una cosa di Maurizio Costanzo (e forse del Paese in cui vivo): come abbia potuto convivere per tutta la sua vita professionale con chi, diciamo pure per paura, aveva preferito accordarsi con la mafia, accettandone la protezione pagata a carissimo prezzo. Eppure la “stella” di Costanzo, quella illuminata di senso civico e coraggio, aveva cominciato a brillare quando, con Michele Santoro, aveva deciso di mandare in onda una trasmissione accorata, tutta dedicata a chi, invece, pur di difendere libertà e dignità di uomo e di imprenditore, la mafia l’aveva pubblicamente schifata: Libero Grassi.

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