L’antico rito del fuoco nuovo. Non solo cattolico, in realtà universale, sebbene per il mondo cattolico il Mercoledì delle Ceneri rappresenti l’inizio di uno dei periodi fondamentali dell’anno liturgico, la Quaresima.

L’inconscio collettivo di almeno due miliardi e trecentomila persone di cultura cristiana, stando alle stime, in qualche modo risente di questo archetipo. Ma se lo svincoliamo dal lessico squisitamente cristiano, il tema delle ceneri del passato che preparano la rinascita affonda le sue radici persino nelle antichissime e sotterranee ritualità della Dea e della Grande Madre, trasmutate sino a noi nella migrazione dei simboli che, tuttavia, non li dissolve mai del tutto.

Così ancora oggi, quando il contadino, forse ormai ignaro della deriva rituale che compie, brucia falò di sterpaglie nei campi, proprio tra febbraio e marzo, senza accorgersene celebra e propizia la rinascita del nuovo, chiama Proserpina a risalire su strade infiorate verso la Madre, che ancora una volta si dà alla Creazione. Così in paesi lontani, da Est a Ovest, il fuoco brucia quel che è passato per preparare quel che verrà.

Ma il passaggio non è indenne da un imbuto stretto, un travaglio di cenere e digiuno che non risparmia il contatto con la verità sulle nostre origini di polvere e il nostro destino di dissoluzione vulnerabile nel tempo. Così per la psiche del profondo, di cui ci sfortunatamente ci curiamo sempre meno nella corsa senza sosta di social, chat, gossip e consumo, l’occasione sarebbe propizia per un digiuno non solo materiale, ma interiore.

Le religioni sono da sempre sistemi collettivi di cultura, costume e società. Non è un caso che nelle religioni di tutto il mondo siano sempre presenti anche indicazioni di igiene, alimentazione e prassi del vivere. Il digiuno è fra queste. Oggi, forse, è fuori moda, tranne che per programmi detox in spa o ritiri dal sapore New Age. Ma per la psichiatra, per il medico del profondo e delle emozioni è l’occasione irrinunciabile per una riflessione sul crinale tra conscio e inconscio, che attraverso le immagini si fa più penetrante.

Il capo cosparso di cenere ad umile riconoscimento della natura fugace della nostra vita cozza così tanto con le continue esibizioni narcisistiche del nostro tempo da essere una immagine splendidamente provocatoria da proporre, oltretutto ben sapendo quanto la posizione di onnipotenza e reattività egoica è contraria ad una profonda maturazione del sé e quanto sia dannosa persino in termini di salute fisica, oltre che psichica. In una società dove il desiderio e la sua dialettica di attesa, passione, sogno, ideale sono fagocitati dalla volgare istantaneità del consumo, il digiuno poi sembra una sorta di lingua sconosciuta, di cui si conservano termini inusitati e sonorità mute. Come se, da qualche parte, qualcuno ricordasse che una volta si usava “astenersi”, ma senza sapere bene perché e come. Forse ci si asteneva dalla carne? Forse dal sesso? Per fare penitenza? O per la versione edulcorata della penitenza che all’asilo ci facevano chiamare “fioretti”?

Nel diluvio tragico del senso delle parole e di conseguenza delle cose, nella migliore delle ipotesi si arriva ad una specie di contrizione penitenziale per nonnine con il rosario tra le mani o per prelati moralistici. E se invece osservassimo la quantità di parole usate a vanvera ogni giorno su social e chat varie – si stima che nel mondo si arrivi a 2 ore 23 al giorno trascorse sui social -, la quantità di lamentele e polemiche che esprimiamo su ogni cosa, senza accorgerci che quel che viviamo non è altro che lo specchio di quelli che siamo, la quantità di selfie che postiamo nella speranza di “trovarci” ancora, tanto per fare qualche esempio, forse avremmo una speranza di cogliere col vento un poco di quella cenere che, sotto alla volatile caducità, nasconde l’essenza.

Nel rito cristiano, che può essere guardato anche in forma simbolica oltre la religione, non si brucia una sterpaglia a caso. Si brucia il ramo di ulivo dell’anno precedente, non perché esso non conti, ma perché in attesa del nuovo ulivo che verrà se ne sprigioni l’essenza, il profumo che rappresenta la natura più vibratile e animica della materia. E poi si digiuna, che resti solo il profumo per un po’ a nutrirci, con la sua informazione aromatica di essenza. Così impalpabile, così indimenticabile e viscerale. Per un giorno digiunare dal consumo, diventare un poco cenere: per ritrovare l’essenziale che, si sa, per i veri piccoli principi è invisibile agli occhi.

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