Come da attese, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia perché il requisito dei 10 anni di residenza necessario per accedere al reddito di cittadinanza viola il diritto dell’Unione in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, residenti e protezione internazionale. In contemporanea è arrivata anche la messa in mora per quanto riguarda il nuovo assegno unico per i figli a carico: bocciata, anche in questo caso, la richiesta di essere da almeno due anni in Italia e risiedere nella stessa famiglia dei loro figli. L’Italia ha ora “due mesi per rispondere alle preoccupazioni sollevate dalla Commissione”, sottolinea Bruxelles.

La necessità di risiedere in Italia da almeno 10 anni è stata prevista fin dall’istituzione del rdc nel 2019, durante il governo gialloverde. Già nel 2020 le associazioni Naga, Avvocati per niente, L’altro diritto e Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione avevano denunciato la questione alla Commissione, e anche il Comitato scientifico per la valutazione del RdC aveva chiesto di dimezzare gli anni di residenza richiesti. Il governo Draghi aveva prospettato una modifica legislativa, salvo poi decidere – come rivelato al fattoquotidiano.it dalla sociologa Chiara Saraceno – che la questione era troppo sensibile politicamente per poter essere portata in consiglio dei ministri.

“Ai sensi del Regolamento 2011/492 e della Direttiva 2004/38/CE – scrive ora la Commissione – le prestazioni di assistenza sociale come il “reddito di cittadinanza” dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’Ue che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza. Inoltre, dovrebbero poter beneficiare del beneficio i cittadini comunitari che non lavorano per altri motivi, con la sola condizione che risiedano legalmente in Italia da più di tre mesi. Inoltre, la direttiva 2003/109/CE richiede che i soggiornanti di lungo periodo al di fuori dell’Ue abbiano accesso a tale beneficio. Pertanto, il requisito della residenza di 10 anni si qualifica come discriminazione indiretta in quanto è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio. Inoltre, il regime italiano di reddito minimo discrimina direttamente i beneficiari di protezione internazionale, che non possono godere di tale beneficio, in violazione della direttiva 2011/95/UE. Infine, il requisito della residenza potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi per lavoro fuori dal Paese, in quanto non avrebbero diritto al reddito minimo al rientro in Italia”.

La Commissione ha deciso di avviare anche una procedura d’infrazione per mancato rispetto delle norme dell’Ue sul coordinamento della sicurezza sociale e sulla libera circolazione dei lavoratori. Nel marzo 2022 l’Italia ha introdotto un nuovo assegno familiare per i figli a carico ma possono beneficiare di questo assegno solo le persone che risiedono da almeno due anni in Italia, e solo se risiedono nella stessa famiglia dei loro figli. Secondo la Commissione, questa legislazione viola il diritto dell’Ue in quanto non tratta i cittadini dell’Ue allo stesso modo, il che si qualifica come discriminazione, si legge in una nota. Inoltre, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari.

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