Di origine bergamasche, ci ha lasciati ieri all’età di quasi 93 anni Luigi Pasinetti, certamente il più grande economista teorico italiano del dopoguerra. Più che nella morte, oltre la quale sarà certamente ricordato a lungo, nella vita fu quasi semisconosciuto al grande pubblico, a conferma che nella società dei social media la celebrità non si coniuga con l’effettiva grandezza e importanza delle persone.

Esponente della cosiddetta seconda generazione dei Keynesiani di Cambridge, cresciuto alla scuola di Piero Sraffa e Nicholas Kaldor, nel corso di tutta la sua lunga attività scientifica cercò di dimostrare la maggiore verosimiglianza delle soluzioni ispirate agli insegnamenti di David Ricardo e di John Maynard Keynes, in contrasto con la visione economica marginalista tradizionale, dominante a partire dalla metà degli anni 60.

Grande economista, per le non comuni doti analitiche, per l’effettiva familiarità con il metodo matematico e soprattutto per l’ampia conoscenza della scienza economica nei suoi precedenti storici da Quesnay, Ricardo, Keynes fino ai nostri giorni, Pasinetti viene solitamente ricordato per il suo contributo alla teoria del capitale, nel cui ambito egli approfondì la relazione tra tasso di profitto/distribuzione del reddito e la propensione di capitalisti/lavoratori al risparmio (cosiddetto teorema Pasinetti).

I suoi studi in questo filone, pubblicati a partire da un fondamentale articolo su Ricardo del 1960 e idealmente conclusi con un articolo del 1981 dedicato ai cambiamenti strutturali e alla crescita economica, lo posero a livello internazionale come l’economista italiano certamente più autorevole, ancorché – come si è detto schierato – su posizioni che non avrebbero potuto portarlo al conferimento del Premio della Banca di Svezia per l’Economia, data la sua appartenenza per così dire al filone minoritario. L’elenco dei contributi analitici di Luigi Pasinetti, ovviamente, sarebbe molto più lungo dello spazio che qui gli dedichiamo, non certo nemmeno alla lontana, proporzionale ai grandi meriti scientifici dell’economista, successivamente Preside della Facoltà di Economia della Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.

Il rispetto della comunità internazionale gli valse riconoscimenti in Italia in ambito accademico e scientifico. Accademico dei Lincei, Pasinetti è stato anche Presidente della Società Italiana degli Economisti, membro del Comitato esecutivo della International Economic Association, Presidente della Confederation of European Economic Associations, e della European Society for the History of Economic Thought.

Alieno alle mode, autentico, devoto cultore dell’economia come scienza, consapevole dei limiti ma anche delle implicazioni sociali della “scienza triste”, Pasinetti a partire dagli anni 90 confermò la sua attitudine all’indipendenza di pensiero, contestando apertis verbis le nuove modalità pseudo-meritocratiche, introdotte nell’accademia italiana con l’Anvur e il sistema di Valutazione della Ricerca, novità che – come è noto – non permisero una valutazione dei contenuti della ricerca, ma al contrario finirono, comicamente, per classificare anche i lavori del più grande economista italiano come di minore impatto scientifico, rispetto, ad esempio, a contributi spesso inconcludenti di qualche giovane economista, ma introdotto nei criteri delle Majors dell’editoria scientifica.

La scomparsa di Luigi Pasinetti fortunatamente, oltre ai suoi lavori, ci lascia una straordinaria eredità di serietà negli studi scientifici, capacità di approfondimento, indipendenza e libertà intellettuale, doti così rare, non solo nel panorama accademico italiano, che saranno certamente di grande aiuto e di potente stimolo allo sviluppo di studi che possano riportare l’economia e la prassi economica su binari più prossimi e più utili agli interessi della società, anziché a quelli dei gruppi di potere più agguerriti.

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