Zero il Napoli primo in classifica, che magari non ne aveva bisogno. Ma zero anche l’Inter, che non ha gli occhi per piangere. Zero pure la Juventus, con ben altri problemi a cui pensare. Quasi zero anche il Milan (se si esclude un terzo portiere colombiano), Roma e Lazio (un terzino in prestito) e praticamente tutte le altre squadre del campionato. Un immobilismo totale che non ha precedenti nella storia. È finito il calciomercato invernale, ma mai come questa volta è come se non fosse mai iniziato. Come risulta dal portale Transfermarkt.it, il campionato italiano ha speso la miseria di 31 milioni di euro in totale, incassandone quasi il doppio e chiudendo con un saldo positivo di circa 35 milioni. Una tendenza comune un po’ a tutto il mondo. La Liga spagnola si mantiene sui nostri stessi standard, la Bundesliga tedesca ha speso di più ma chiuso comunque in pareggio. Solo l’inarrivabile Premier League viaggia ormai su un universo parallelo, con addirittura 830 milioni di acquisti, cifra drogata dalle folli spese del Chelsea (da solo oltre 600 milioni) ma comunque esorbitante.

Non che sia una gran perdita. Il calciomercato è un autentico baraccone, che fa felice solo i procuratori e qualche giornalista, e andrebbe seriamente regolamentato e limitato. Ci sono tante ragioni per cui questa sessione si sia rivelata così asfittica, non solo in Italia. In inverno, storicamente si fanno di rado grandi affari: il colpo di Vlahovic alla Juve lo scorso anno fu l’eccezione che conferma la regola. Aggiungiamoci la carenza di liquidità che perdura dal post-Covid, il recente emendamento spalma-tasse varato dal governo (chi ne ha beneficiato, cioè praticamente tutti i club, non fosse altro per pudore non poteva fare granché sul mercato), lo scandalo plusvalenze che ovviamente ha inibito un certo tipo di scambi. Mettiamoci pure il Mondiale che ha sconvolto i calendari e, anticipando la sosta, reso ancora più complicato inserire in squadra i nuovi acquisti e si capisce perché il mercato sia stato disertato un po’ ovunque. In questo anno così particolare, in questo preciso momento storico, è un fenomeno fisiologico, neanche così negativo.

Detto ciò, non si può nemmeno far finta di nulla e ignorare un dato così macroscopico: i numeri di questa sessione dimostrano anche e soprattutto che la Serie A sta attraversando una crisi epocale. I nostri top club che per un motivo o per altro sono costretti a rimanere completamente fermi, anche se magari avrebbero bisogno di innesti. Il campionato che viene letteralmente saccheggiato dalle comprimarie della Premier League, come il Bournemouth, che offre 30 milioni per Zaniolo, considerato nonostante tutto il miglior talento del nostro calcio, e poi ripiega su un altro prospetto come Traorè del Sassuolo. E poi Lukic al Fulham, McKennie al Leeds, ma anche Makengo al Lorient e Malinovsky al Marsiglia, a conferma che certo il gap è nei confronti dell’Inghilterra ma non solo.

La Serie A non ha capito di essere entrata in una nuova fase della sua storia, dove la grandezza del passato è un lontano ricordo, un vecchio quarto di nobiltà che non conta più nulla. È diventata una “selling league”, come le chiamano all’estero, un campionato che vende. Tipo Portogallo e Olanda, ma senza nemmeno saper fare quello che fanno Portogallo e Olanda, bravissime nello scouting e nell’andare a pescare talenti in giro il per il mondo. Noi invece, salvo poche eccezioni virtuose (il Napoli, l’Atalanta) restiamo ancorati a un vecchio modo di fare calcio, probabilmente superato, di sicuro insostenibile per chi non ha i soldi. E a nulla serve prendersela con la Premier League. Che non è la Superlega, come sostengono le vedove di un progetto scriteriato. È solo un campionato che funziona. Al contrario della nostra povera Serie A, a cui restano solo gli scarti.

Twitter: @lVendemiale

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